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domenica 7 agosto 2022
Estate in Val d'Orcia e nelle Crete Senesi
lunedì 20 giugno 2022
‘’Arancia all’alba’’ (Pagine, 2022), l' ultima raccolta di poesie di Gemma Ravanello in una mia nota di lettura.
‘’Arancia all’alba’’ (Pagine, 2022) è
la nuova silloge di Gemma Ravanello che segue cronologicamente ‘’Bosco’’
(Del Giano, 2012) e ‘’Alte e basse
maree’’ (Pagine, 2015) a sostenere un
percorso che va da un luogo-bosco, più contemplativo, a un luogo-vita di più
ampio respiro, dove la compenetrazione e l’osmosi tra la sfera umana e quella
naturalistica, tra le luci e i colori della natura e gli aspetti esistenziali,
si dispiegano con più forza, in una dimensione di eternità assoluta e al tempo
stesso dolorosamente effimera. Quello di Gemma Ravanello è un percorso, per
così dire, interminabile, guidato dalla sua anima sensibile e a tratti inquieta - ma grata sempre alle piccole gioie
che a sorpresa ci riserva la vita – continuamente alla ricerca di significati, sensazioni, corrispondenze e interrogativi, destinati
a restare senza risposta, per quella inesauribile sete di conoscenza che la
contraddistingue come persona e come poeta. Gemma Ravanello, palpitando,
ricerca segni che alimentino, non certo plachino, il suo desiderio di
comprensione della vita, il ‘’mistero’’ che da sempre accarezza con stupore,
conscia che questo resterà tale perché
nella vita ‘’ha significato solo l’incomprensibile’’ (Jung, Archetipi
dell’inconscio collettivo). Si potrebbe pensare ad un possibile parallelo con la poetica della Dickinson, sia per quanto riguarda l’amore per
la natura, sia per quanto riguarda il profondo senso del mistero, ma Ravanello
antepone sempre all’aldilà e all’idea
della morte presenti nella Dickinson, la forza del mondo umano del quale la
natura e’ specchio.
Il libro si divide in quattro
sezioni, quante sono le stagioni, unità di misura del tempo che ciclicamente passa
e degli stati d’animo dell’Autrice, sezioni dense e dinamiche: Autunno o La
musica vitale, Inverno o Gli inverni del cuore, Primavera o Il roseto del
colloquio, Estate o Gli inquieti idilli. Quattro stagioni dunque, ognuna a suo
modo, protagonista. Dice infatti la nostra Gemma Ravanello: ‘’…E ritrovo le innumerevoli stagioni tutte
dintorno da navigare…’’. ‘’Innumerevoli stagioni’’, come se in realtà le
stagioni fossero ben più di quattro, anzi come se ce ne fosse una per ogni
situazione / emozione. Stagioni in cui navigare - perché questo e’ il nostro
destino - su un veliero per ‘’approdare salvi con la tempesta in mano’’,
la tempesta della vita e del dolore più acuto che, sebbene non compreso, viene
comunque saggiamente accettato come inevitabile compagno di viaggio. E al
dolore Gemma dedica versi di grande intensità: ‘’Se i dolori fossero / tutti uguali, se in una sofferenza / non ci
fosse il taglio / del bosco, non ci fosse lo sparo / al cervo, in un’angoscia /
le foglie che cadono morte; se il dolore / non fosse anche una colpa / antica
nelle vene / il dolore / poca cosa sarebbe/ …’’. Dolore, in sostanza, come
stratificazione di dolori, somma che viene da lontano, essenza e impalcatura
del nostro sentire, simile alle nervature delle foglie che come abiti ci vestono.
‘’...Di skeleton leaves ti ha vestito,
Peter! L’Ombra / è in consegna; avvolto sei / in scheletri di foglie, vertebre
di un dolore / antico, fluito / di esfoliazione in esfoliazione’’.
E sullo sfondo altre foglie che
cambiano colore con le stagioni / stati d’animo, dal ‘’giallo giallo giallo…’’
del ginko biloba al rosso dell’autunno più’ inoltrato. Foglie soffiate dal
vento che in sottofondo sembra animare i versi di ogni poesia, come un motore
inesauribile, come il turbinio tempestoso e inarrestabile del cuore
nell’alternanza di gioie e dolori, attimi sempre filtrati dalla saggezza
dell’Autrice. Ma ogni stagione contiene in sé le altre stagioni e tra l’una e
le altre il distacco è lento e a volte impercettibile; c’è un’assenza, come un
vuoto, dice Ravanello, tra la fine di una stagione e l’inizio di un’altra: ‘’ Tra l’inverno / e la primavera / c’è un vuoto incolmabile. Il
transito non è facile e il guado / ha i suoi rischi nascosti nel sangue…’’
e in ogni stagione si nasconde la sofferenza, improvvisa e predestinata a un
tempo, in un continuum inarrestabile, quale è la vita. Così un Anthurium
trovato morente al ritorno delle vacanze, sottolinea questa triste realtà: ‘’…Soccombeva al torrido sole di luglio / la
tua fragile fibra / da ignara creduta assai più forte / e sfiorivano di te / i
preziosi fiori / sorvegliati solerte tutto l’inverno…’’ ma, al tempo
stesso, ci racconta anche l’importanza
dello sguardo, della cura amorevole, delicata e continua, degli affetti, siano essi la natura o le persone. La malinconia nostalgica trova così inevitabilmente spazio e ragione: ‘’ …un’acuta malinconia / mi raggiunge / oggi /
in questo agosto maturo /già d’uva, / e di sorgenti arance / all’alba / di
gialle foglie all’aria’’, ma reca con sé anche la speranza di nuovi sapori
e occasioni, offerti comunque dall’autunno incipiente; il
sole, l’arancia più bella che tinge di sé il cielo, ci dice Ravanello, risorge ogni giorno portando con sè a sorpresa
nuova bellezza.
Tra tutte le poesie della silloge, i
cui versi sono come sempre cristallini e musicali, una menzione speciale
meritano quelle dedicate ad artisti e quadri
significativi per l’Autrice, a testimonianza di come Ravanello
sia sempre in dialogo con ogni forma d’arte e si nutra della luce, dei
riflessi, delle sfumature, ma anche delle ombre che queste opere emanano.
Inoltre,
poichè molte possono essere le chiavi di lettura di un testo importante, molti
i suoi temi fondanti, in “Arancia all’alba”
di Gemma Ravanello, tra le altre, va sottolineata la dimensione onirica, un
elemento, che però nulla toglie alla concretezza e al realismo dei versi, solo
li arricchisce di atmosfere più rarefatte, rese poi dense dall’aspetto più propriamente simbolico del sogno, quale
porta dei desideri, della nostalgia, del
ricordo, del viaggio interiore. Già nella lirica d’apertura ci ritroviamo in un
“onirico giardino”, dove, nel dialogo fra due uccelli, sembrano rivivere
atavici sentimenti. Scrive Ravanello: “Ed
era tutta una melodia / il canto dei due uccelli; l’uno all’altro / il verso
volgeva / a rammentare l’antica intesa, l’atavico / accordo, l’ora turchese /
nella serenità passeggera. / Leggiadro il tempo delle note / nell’onirico
giardino”, per proseguire poi, tra viaggi su velieri sconosciuti, ‘’flutti
di onirico mare’’ e fili d’erba più alti degli alberi, verso isole che non ci
sono e paesi delle meraviglie del tutto interiorizzati. Mondi dove regna
“indisturbato il sogno” ma, comunque intrisi di realtà e pathos, attinti
entrambi dalla quotidianità e dal passato, dall’esperienza e dal vissuto
dell’Autrice, poiché uno dei talenti di
Ravanello è proprio il vedere nell’hic
et nunc l’altrove più immaginifico, “…come un volare atavico, un abituale / e
angoscioso planare / su qualcosa che fugge / e che non ritorna mai più”. E
tra i due, il qui e ora e l’altrove, un lungo ponte costruito dalla memoria che
a sé tutto stringe, smarrita, tra mille domande: “Dove sei mia leggera ala di sogno / sparita in una bufera / di mille
fiocchi albeggianti…”.Tra turbamento e tenerezza per “la bimba lontana”,
quella di ieri, ma sempre presente,
tutto lentamente scorre via e
ritorna, tutto è possibile, illuminato, prima dall’incanto e dalla sapienza della luna piena, spotlight sul cuscino e
sulle emozioni più nascoste e poi dall’eterna rêverie che, come dice Bachelard, è “la materia prima
dell’opera letteraria”, il momento in cui il mondo viene “investito da
un’improvvisa luce intima” di fervida immaginazione creativa e siamo veramente
liberi.
È
questo, in conclusione, un libro a lungo meditato, scritto con cura e passione,
caratteristiche evidenziate non solo dal bellissimo contenuto ma anche dalla
grafica elegante e accurata. In una dimensione qui più universale che altrove,
Ravanello, riversa nei testi, con la
precisione di un cesellatore, i suoi sentimenti più profondi e la sua visione
del mondo, offrendoci poesie di grande forza, luminose come quadri di Turner e
splendenti di quella luce dirompente eppure sfumata che è somma dei colori da
lei tanto amati.
Tiziana
Marini, giugno 2022
Gemma Ravanello è nata e vive a Roma da padre veneziano e madre inglese. Poetessa e pittrice è autrice di Bosco e altre poesie (Edizione Del Giano, 2012), Alte e basse maree (Pagine, 2015), Arancia all'alba (Pagine, 2022), e del romanzo Mare, spensierato mare del '62. Scrive fiabe e saggi e con le sue poesie è presente in antologie e riviste di letteratura.
venerdì 1 ottobre 2021
''Museo dell'Uomo'' di Plinio Perilli (Editrice Zona, Genova 2020) un museo per l'uomo, allestito nel cuore.
Plinio Perilli, Museo dell’uomo. Poesie e poemetti (1994-2020), Editrice Zona, Genova 2020
Se
la poesia è uno degli ultimi spazi in cui sacro e umano traggono ragione l’uno
dall’altro, compenetrandosi, senza contrapposizioni o dicotomie inutili, se la
poesia è dialogo dell’anima con l’anima mundi e testimonianza del mistero
dell’uomo e della sua condizione, se la poesia è memoria salvifica e il
compito del poeta nel nostro mondo è, tra gli
altri, quello di preservare tale memoria, allora l’ultima raccolta
di poesie e poemetti di Plinio Perilli, ‘’Museo dell’uomo’’ – poesie
e poemetti 1994-2020 ’’(Ed. Zona 2020), scritti in un arco di
tempo trentennale, si colloca a pieno titolo in questo
spazio straordinario, essendo essa stessa in tutto e per tutto straordinaria,
speculare e funzionale a questi intenti. Diciamo subito che ‘’Museo
dell’uomo’’ è un’opera complessa, appassionata e appassionante, che si dipana
in un racconto denso, che diventa periplo della storia dell’Autore e
dell’Uomo, personale e collettiva dunque, e lo fa procedendo lungo rotte
multidirezionali e percorsi attorno all’uomo e per l’uomo,
seguendo rotte che conducono, allargandosi sempre più, alla
nascita stessa del genere umano, colta in un Adamo disteso, ancora
nascente. Ma la raccolta è anche un viaggio di circumnavigazione e di
immersione totale nella reiterata autodistruzione
del genere umano, tra guerre, Olocausto, terrorismo e pandemie, e al
tempo stesso, nella salvezza e nella rinascita comunque
presenti, nonostante tutto, nella nostra vita, quali porti sicuri
e fari sempre custoditi e alimentati in luce dai
sentimenti d’amore, fiducia e amicizia. Il titolo,
‘’Museo dell’uomo’’, esprime appieno la portata del pensiero
narrativo che soggiace all’opera, opera che è frutto di
un lavoro poetico immenso, illustratoci dall’ Autore stesso nella nota
conclusiva, da leggere, a parer mio, anche in apertura in quanto
spot-light sulla sua visione del mondo. Ma è anche, il titolo, la
cifra di un testo in cui la
scrittura diventa via via un vero ‘’racconto museale’’ dipanato nello ‘’spazio
espositivo’’ della pagina, per restare ancorati alla bellissima e significativa
immagine che tale titolo richiama, e intendendo con ‘’racconto
museale’’ un vero e proprio cammino coinvolgente e
interattivo, dove la parola si fa
concerto di voci en plein air che ricostruisce, protegge e conserva, quale
testimonianza di noi a noi stessi e ai posteri, di un mondo altrimenti
impossibile da comprendere, in una dimensione di speranza. Un Perilli dunque,
si potrebbe dire, museografo e museologo, oltre che vero e grande poeta, nel senso
più concreto e attuale dei termine, vista la solidità dell’ architettura
narrativa dei suoi testi in generale e di questo in particolare. Un
museo dell’uomo e per l’uomo allestito nel cuore, un dialogo tra
Passato e Presente, tra Storia e Memoria, tra Bene e Male, tra
Natura ed Emozione, tra il ‘’sempre’’ di Dio e la quotidianità
dell’uomo, in poche parole la vita nella sua multidimensionalità e nelle sue
opposizioni e contraddizioni, un museo nel quale ci ritroviamo
tutti, guardandoci come in uno specchio o in un diorama di vetro delicato e
potente, con i nostri errori e fragilità e con quelle scintille divine che a
volte, imperscrutabilmente e inaspettatamente si manifestano nel
nostro misterioso percorso umano. Così l’esperienza individuale dell’Autore
diventa esperienza universale, e quella, momento individuale. Per questa
reciprocità ognuno di noi è alla fine ‘’Adamo disteso’’, padre (e madre) che ci
rinasce continuamente, siamo noi Auschwitz, siamo il ponte che
crolla, il carcere, l’eclissi e il terremoto, le Torri Gemelle
e la pandemia, ma siamo anche le staffette della
Resistenza, l’isola-nave, Giordano Bruno e Kuska o il pettirosso
nella neve, gli amici, la poesia, e siamo noi gli amanti,
fortunatamente ancora ‘’ in volo’’, come li definiva l’Autore nella sua intensa
silloge precedente (Gli amanti in volo, Pagine 2014), dedicata
appunto all’amore, amanti che sembrano ancora sfiorarci nella
quotidiana scoperta, l’uno dell’altro anche e soprattutto nelle difficoltà del
vivere e nella sofferenza. Nel Museo dell’uomo di Plinio Perilli c’è perciò il
mondo intero che si guarda, l’umanità portata alla
luce con lavoro di scavo archeologico, con amore e pietas e
religiosamente resa sacra ed eterna come un pane raffermo
o transustanziato. Dice infatti Perilli,
ricordando con amore un’abitudine materna : ‘’…Non si getta la vita, ogni suo /
grammo d’emozione, poesia che mastichiamo alla dura radice del gusto
/ nel rito che è mistero. Corpo e carne di natura, eucarestia domestica…’’. Una
poesia autentica, etica e luminosa anche nelle
ombre, sintesi fra intelletto e sentimento, una poesia
che dice di se stessa e a se stessa ‘’Ogni poesia è - l’infinito, da
quando inizi / a leggerla fino alla fine…E in mezzo c’è / la vita, le parole
quando nude somigliano /a uno stato d’animo, a un pensiero magico…’’, sicché
appare significativa la datazione di questi
versi estrapolati da ‘’L’infinito a pezzi’’: 7 giugno
1955-2019, versi
in cui ‘’le parole nude’’ di Plinio Perilli sono quelle vere
e sincere di un poeta coerente e coraggioso, in perfetta
armonia con la sua dimensione umana, per i valori
universali che con noi tutti, da sempre, condivide.
‘’Molto ha esperito l’uomo. / Molti celesti ha nominato / da quando siamo un
colloquio / e possiamo ascoltarci l’un l’altro’’, scriveva Hölderlin e questo
colloquio si rinnova, intenso e vibrante, in ogni poesia del ‘’Museo
dell’uomo’’.
Tiziana
Marini
Da
''Museo dell'uomo'':
Adamo
disteso
1-
Uomo
non sono eppure già lo sembro,
chiedo
alla terra un corpo rivelato, fedele
alle
stagioni, radicato alla pietra, ossa del mondo,
al
bianco sasso da cui partiamo e torniamo…
Prego
perciò la mano e il respiro di Dio
di
scolpirmi forte dentro il cuore, soffiarmi
l’anima
non come un augurio, ma dovere
semmai
di far felice quel bene che m’impasto’
fango,
mota di cielo – sangue che stilla luce…
2 -
Disteso. Dell’universo
preda e gemma,
fiore
di pietrisco… Oggi che tu artista
mi
scolpisci – ne sogni vera l’immagine –
sappi
che io nasco, pulso, rinasco ancora
come
quel primo giorno, stupefatto al miracolo,
di
fare specchio a un Dio per trasparenza
d’amore,
rito e carne di tutto il creato!
Solo
questa è l’immagine, questa la somiglianza
da
faticare a non perdere, a non sciupare
o
tradire con l’alibi delle preghiere…
3 -
Ora
che d’oro poi rifulgo tutto!, mi vergogno,
lo
giuro, del mio nudo corpo… Perché credo che
l’oro
valga molto, ma molto meno della carne,
meno
dell’anima… Quella sì, che la sento, la
vorrei
d’oro: monile immenso di Dio che m’incorona
Uomo,
re della Natura… Come a specchiarmi
fiero
nei fiumi quaggiù in Terra, nei laghi
azzurri
freddissimi
di cielo, nell’Eden in cui ora vivrò – e
non
sarà per sempre… perderò l’oro e la gioia di Dio.
4 -
Forse
io da sempre, disteso, attendo di nascermi:
uomo,
corpo già grande come un eroe del Nulla,
atleta
di ogni giorno:e troverò forza, materia,
proprio
da questo fango, fino a mutarlo in oro…
Freme
la coscia del sangue che presto m’avverrà,
come
avvengono gli occhi, le mani che tuttora
confondono
pugni e dita, e labbra che non parlano.
5 -
Adamo
– Lui così adesso Lui sta chiamandomi!-
Adamo disteso, manichino
svegliato – per miracolo
eterno
proclamato Primo Uomo, divino e mortale.
Sto
nascendo e già mi stanco a vivere, anche
a
esserne felice… Che strana idea, che pazzo
lievitare!...
Disteso accanto a tutto ciò che
mi
manca, o meglio ancora, non sono… Un dolore
mi
prende dentro – e quest’oro lo vorrei
di carne:
una
compagna, un altro specchio di me, Eva
distesa
da amare, perché anche l’Eden ci fa
smarrire,
ci culla soli, il cuore in gola, nudi di cielo…
6 -
Il
cuore – ciò che nessuno scultore, soltanto Dio
sa
plasmarci dentro – qui brilla e appare anche da
fuori,
piccola luce, sorriso prima del volto, del Tempo
sacro
che nemmeno i secoli possono accogliere,
o
misurarne l’Uomo, Adamo me disteso – e Nulla ero
nel
prima ma tutto era già stato, come parola
riassume
il gesto, il pensiero, la carezza che un Padre
ama
fare al figlio: ed io proprio da questa sono nato.
7 -
Tristezza
non è divina, la sento, è virtù tutta mia:
farò
d’essa il mio fiore, la casa o il tralcio
cui
a sera appendere l’anima, prima di tornare
a
letto, nudo disteso a fianco della vita: riverso,
spossato
come dopo ogni atto d’amore… In furia
cerca
sempre il cielo, s’inturgida fino alle stelle!
Il
desiderio è un vangelo, palmizio di parabole…
Saprò
amarla, la vita, creta da cui Lui – oggi –
Mi
ha estratto, rivelato il cuore. C’è un Dio nell’uomo,
e Dio nasce in Adamo.
Adamo disteso è
una splendida statua in oro di Giacomo Manzù (opera del
1972),
185x78 mm. “Questa piccola fusione in oro” – rileva Livia Velani
nella
sua monografia su La Raccolta Manzù, Ardea, 1994 “è ripresa dalla
posizione
del corpo di Adamo nel prologo del film La
Bibbia di John Huston,
che
Manzù aveva con fatica ideato. Infatti, come mi raccontò durante un
nostro
incontro, la difficile resa visiva della nascita di Adamo dalla creta,
doveva
iniziare con l’immagine del sasso per poi evolversi nel corpo
umano”.
Plinio Perilli (Roma, 1955) e' poeta, saggista e critico letterario. Ha esordito
nel 1982 con un poemetto pubblicato sulla rivista Alfabeta. La sua prima
raccolta poetica è del 1989, “L'amore visto dall'alto'' cui fanno seguito i
racconti ''Ragazze italiane'' nel 1990 e “Preghiere di un laico” nel 1994. Tra
le altre sue opere, come critico e saggista, ricordiamo ''Storia dell'arte
italiana in poesia del 1990” , “Melodie della Terra del 1998” e “Costruire lo
sguardo”. Storia sinestetica del cinema in 40 grandi registi, 2009. E' del 2014
il romanzo in versi ''Gli amanti in volo ''.
''La rivoluzione degli eucalipti'' di Nina Maroccolo, Galleria d'Arte Moderna - Earth day 2021
''La rivoluzione degli eucalipti'' di
Nina Maroccolo, in mostra dal 14 maggio al 10 ottobre presso la Galleria d'Arte
Moderna di Roma, per celebrare l'Earth Day 2021, e' l'incontro
dell'artista con la natura e le sue mutazioni, un incontro in cui l'eucalipto
diventa il simbolo delle doti salvifiche della natura in un'ottica
rivoluzionaria. L'esposizione si avvale di opere fotografiche e piccole
installazioni in teche, veri e propri scrigni di tesori custoditi con
amore, mandala e oggetti ''del cuore'', tutti al servizio delle
''macerazioni'' e del ''principio dello scarto'' a sottolineare la bellezza e
la forza della natura che trova in sè la capacita' di autorigenerarsi.
Nel bellissimo, prezioso catalogo, (Disvelare Edizioni, 2020) e' la
Maroccolo stessa con le sue parole e le sue immagini ad accompagnarci nel
viaggio sinestetico della mostra, curata da Plinio Perilli. Con fotografie, poesie e scritture di rara intensita', l'Autrice ci porta nel suo Mondo, un mondo delicato e potente al tempo stesso, dove trovano spazio e voce la bellezza, il dolore, la denuncia.
Scrivo in una testimonianza inserita nel catalogo, fra le tante presenti
: ''...Un lavoro originalissimo dunque, quello delle ''macerazioni'', non solo
concreto, ma anche coraggioso, in cui la Maroccolo compie il rito di una
vestale - alchimista o piu' semplicemente di una donna che percorre con stupore
e consapevolezza al tempo stesso, camminamenti intricati da foglie e
cortecce, da radici e venature per estrarne, attraverso un processo di
''macerazione'', insieme alla linfa, il senso piu' profondo della vita...
In questa ottica visitare la
mostra vuol dire compiere un bellissimo viaggio, scoprire in ogni
teca tesori preziosissimi, gioielli dotati di anima e di quella magia che
solo le forze piu' ancestrali possiedono, forze che ci abbracciano, additandoci
nuovi itinerari di speranza e verita', nuovi obiettivi di salvezza, qui
sulla Terra, per l'Uomo, la Natura, la Storia. La Maroccolo afferma infatti: ''Gli
eucalipti, e tutti gli altri alberi, vegliano su di noi. Ci sostengono fin dove
possono. Ci ricordano di abbandonare cio' che credevamo di essere. ESSERE
SOLTANTO CIO' CHE SI E'.
Nina Maroccolo (Massa 1966) e' un'artista eclettica. La sua attivita' spazia dal restauro all'intaglio e all'intarsio, dal canto al teatro, dalla prosa alla poesia, dalla pittura alla fotografia. Dal 2004 vive e lavora a Roma. Performer teatrale e studiosa della natura, e' autrice di numerose pieces teatrali tra le quali ricordiamo Partitura per ferro e terra dedicata all’opera dello scultore Jaume Plensa, Annelies Marie Frank (dal suo libro omonimo), Nastro – Omaggio a Giacomo Manzù cortometraggio per voci recitanti, E' protagonista del film d’arte La sesta vocale per la regia di Iolanda La Carrubba, colonna sonora di Gianni Maroccolo: opera finalista al “Festival Internazionale del Cinema di Berlino 2013” nella rassegna Director Lounge DL9. Tra le sue pubblicazioni ricordiamo: Il carro di sonagli (City Lights Italia 1999), Annelies Marie Frank (Empirìa 2004), teatro, con una lettera di Alda Merini. Illacrimata (Tracce 2011), poemetti, prefazione di Paolo Lagazzi. Animamadre (Tracce 2012), romanzo, prefazione di Fabio Pierangeli. Malestremo – Sedici viaggi nell’Altrove (Tracce 2013), racconti, prefazione di Marco Palladini.
giovedì 30 settembre 2021
Fiori nel deserto di Atacama
Il Deserto di Atacama si e' miracolosamente ricoperto di fiori quest'anno... cosi' come capita di tanto in tanto...Una fioritura straordinaria, rara... che tinge di rosa la terra arida in condizioni climatiche proibitive. Una fioritura che possiamo prendere come metafora della vita quando ci elargisce a sorpresa gioie inaspettate ... Il pensiero corre al bel libro di Luis Sepulveda ''Le rose di Atacama'' (Guanda, 2000)...