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sabato 15 giugno 2024

Il poeta, scrittore e saggista Marco Onofrio legge ''L'inclinazione di una foglia alla luce''

 

“L’inclinazione di una foglia alla luce”, di Tiziana Marini. Lettura critica.



https://marconofrioscrittore.wordpress.com/2024/06/14/linclinazione-di-una-foglia-alla-luce-di-tiziana-marini-lettura-critica/





Tiziana Marini è ormai – mi pare evidente – una delle migliori poetesse contemporanee. La sua crescita progressiva, su un piano di concentrazione linguistica e – a monte – di schiarimento originario dello sguardo, giunge ora a una conferma che approfondisce gli esiti già notevolissimi raggiunti ne “La farfalla di Rembrandt” (2019), grazie a questo nuovo libro, di rara limpidezza e intensità, delizioso fin dal titolo: “L’inclinazione di una foglia alla luce” (Ensemble, 2023, pp. 90, Euro 13). Un titolo che non solo apre percorsi di consentaneità, e quindi di reciproca contaminazione creativa, tra la “visione” che presiede alla poesia e quella che presiede all’arte figurativa (Tiziana è anche un’apprezzata pittrice), ma innesca rifrazioni simboliche “ad infinitum”, come le onde concentriche prodotte da un sasso in uno stagno, che la dicono lunga sul “modo” peculiare di vedere e sentire le cose “per incantamento”, da cui discende la traduzione musicale della sorgente eidetica che poi coagula sulla pagina.  

Questo libro è un piccolo miracolo di armonie: c’è un fluido luminoso che accende le parole e scorre tra di esse come argento vivo, manifestando “in fieri” la circolarità delle energie e delle trasformazioni a cui obbedisce tutto l’universo. La poesia, quand’è così, rappresenta un microcosmo organico che, pur essendo “forma”, non contamina la ricchezza originaria dell’infinito da cui viene estratta. Come un bicchiere di oceano pescato dalle acque più pulite e cristalline. E può accadere perché Tiziana Marini ha lavorato nel corso degli anni a una costante purificazione dei suoi canali spirituali e all’amplificazione delle sue “antenne ricettive”. I veri artisti non si appagano mai, la loro ricerca è sempre aperta, vigile, attiva: chi si ferma è perduto! Si percepisce infatti un percorso di affinamento e di approfondimento della coscienza, che ha gettato le premesse evolutive da cui le poesie sono sbocciate con la stessa naturalezza delle fioriture nei prati a primavera. Ogni composizione è, così, la nota intonata di un concerto: consuona e collabora all’armonia dell’opera globale. Ciò non toglie, com’è ovvio, che l’altezza degli esiti raggiunti sia poi anche il risultato di un preciso “corpo a corpo” con le singole parole, ma acciocché il “labor limae” sia efficace occorre che l’intuizione iniziale della poesia abbia saputo cogliere felicemente un lampo di rivelazione, altrimenti la poesia è – diciamo così – “stonata” in partenza. Qui sono entrate in gioco una serie di circostanze rare a verificarsi, così favorevoli (per allineamento energetico tra “dono” e gestione dello stesso, cioè tra intuizione e ragione: quella mescolanza ben dosata di natura e cultura che rende sempre talentuosa e speciale ogni forma d’arte) da rendere straordinaria e non facilmente ripetibile la bellezza che splende nei versi.   

Complimenti davvero, e vorrei iniziare il mio personale itinerario tra le molteplici “inclinazioni” di un libro così alto con la tonalità “francescana”, ricca di amore incondizionato per il creato, da cui sgorgano alcuni versi che risuonano in me particolarmente suggestivi. Il lettore ricorderà, da “A mia moglie” di Umberto Saba, vv. 13-14: «i sereni animali / che avvicinano a Dio». Ebbene, era dalla lettura del Canzoniere sabiano che attendevo di imbattermi in qualcuno con la capacità e, diciamolo pure, il coraggio di affermare la purezza sacra degli animali. Ed ecco finalmente Tiziana Marini, nella terza composizione tra quelle dedicate in memoria del gatto Fusino: «Rubo i giorni al sole per la tua corona / e già vedo in te un piccolo santo / da pregare». Chiunque abbia o abbia avuto confidenza affettiva con una bestiola adorabile come Fusino sa bene di che stiamo parlando. Li adottiamo con infinito amore per un tratto purtroppo breve della nostra vita, e li sentiamo a tutti gli effetti come “figli”. Chi non li ha o non li ha avuti, difficilmente potrà capire. Il “coraggio” nasce dalla decisione di esporsi alla derisione, e dunque alle critiche di chi – e sono molti purtroppo – considera gli animali esseri inferiori, trascurabili, incomparabili (per difetto) al bipede umano, dimenticando così che anche noi siamo animali (ma della peggior specie) e avvertendo inevitabilmente come ridicole le esternazioni commosse di chi li ama e li tratta “alla pari”.

Tutto questo per cominciare a significare che “L’inclinazione di una foglia alla luce” implica – e peraltro suggerisce fin dal titolo – una trasformazione spirituale dello sguardo, ovvero un salto evolutivo della coscienza normalmente condivisa. Anche per questo credo sia una delle opere di poesia più intense e riuscite che io abbia letto negli ultimi anni. Scrive André Gide ne “I nutrimenti terrestri”: «L’importanza sia nel tuo sguardo, non nell’oggetto su cui si posa». E infatti la poesia è anzitutto questione di sguardo: ad esempio guardare la notte «nel modo giusto / finché diventa giorno»; oppure leggere amore nel cielo stellato, che invece parrebbe a tutta prima quanto di più mostruosamente freddo, inospitale e inconcepibile ci sia dato contemplare. La “rivelazione” splende secondo una certa inclinazione alla luce: dell’oggetto e dell’osservatore. «Sia ad ogni istante la tua visione nuova», continua Gide. E affinché accada questo, lo sguardo deve “covare” lo struggimento del tempo e il doloroso amore della bellezza. Tiziana Marini scrive: «Nella cova del mio sguardo tra pena e tenerezza / come per un animale buono, deriso».     

Occorre sprofondare nei segreti della realtà, anche nelle pieghe dell’aria, negli angoli nascosti, negli spazi minimi, fino all’«ultima stanza» del percepibile, fino ad avvertire ogni sensazione come «presenza infinita» di echi che si allargano dal particolare all’universale: «come riconoscere una trama / da un’unica parola». La tela della poesia (e quindi dello sguardo da cui distilla) è «sudario paziente» che include la totalità dell’esistente, anche ciò che ogni amore esclude. Un verso come ad esempio «abbracciami negli occhi» è emblematico di questa inclusiva totalità da cui fermenta e distilla l’altezza direi anche etica del libro. Per sintonizzarsi appieno con le sue istanze è necessario muovere verso un grado “altro”, cioè diverso e superiore, di consapevolezza evolutiva («da impronta a impronta / di vita in vita / fino a me, dopo di me»), entrando in risonanza con l’intensità spirituale grazie a cui – come scrive Cristina Sparagana nella breve e fulminante Introduzione – «le stelle parlano, le foglie sono uccelli che stormiscono, le rondini ci porgono un vago, tenero sema apocalittico». Ci si riconnette, allora, con la grande lingua dimenticata, l’alfabeto cosmico primordiale che torna dall’Oceano di Tetide e si manifesta anche in questo preciso istante con le parole-essere delle cose, “sentite” per osmosi.

La vocazione pan-linguistica del libro si evince anche da certi titoli delle composizioni: ad esempio “Pentagramma terracqueo” o “L’alfabeto e il cielo”. È una realtà nascosta dietro i fenomeni e vive nello spazio del «vuoto-origine». Ecco così le foglie che «suonano tra loro parole fitte», e l’identità soggettiva che trasumanando nell’ascolto e nella contemplazione può arrivare a sentirsi come «la foglia-uccello / che impara dal suo volo». Le parole, scelte con estrema cura da Tiziana Marini, ci danno conto di un cosmo di infinita circolarità, percepito come metamorfosi. E anche di una dimensione organica (scrive a un certo punto di «prato-scrittura») che si raggiunge diventando le cose che si pensano e percepiscono: «La mia solitudine / la stessa delle pietre / degli alberi, delle fontane antiche». Naturalmente occorre fare i conti con la corta favella del linguaggio umano: le cose sfuggono alle parole, magari per scarti infinitesimi, come ad esempio «la luce che a dirla non rende / ma è vera luce». Eppure il poeta avanza lo stesso nel cuore della vita, dove affonda «come la radice di un albero / quanto tocca ciò che fu vivo / guidata dalla tenerezza». La capacità di oltrepassare, come fa il vento, il dono del presente – fino ad immaginare «un tempo senza noi / com’era prima» – non esime il poeta dalla possibilità e direi dalla necessità di affrontare il sentimento-sedimento del tempo: dal «minuto / che la luce aggiunge al giorno» dopo il 21 dicembre, al corrispondente fenomeno inverso dopo il 21 giugno («c’è ancora luce, ma già meno di ieri. / L’avresti detto a luglio?»), ovviamente considerando l’emisfero boreale. Il passato contiene tutto il futuro, e il presente tutto il passato, per cui «Ogni giorno è il primo / dei restanti / ogni minuto è già domani» così come «le ombre hanno la luce dei giorni / passati». Appartiene al poeta lo sprofondamento della superficie che lo porta a «precipitare nel diaframma / del quotidiano addio alle cose / anteprima della morte», poiché sa bene che la vita è un processo infinito di morte e rinascita, è «il vuoto di un bosco arso / che rinasce a sorpresa / per una radice salva / per un seme casuale».

Fare poesia nasce da un «grumo d’introspezione» che oltrepassa la scansione lineare del tempo spezzando le barriere, il «limite imposto dalla logica». Ma nasce anche dal «gesto umano / della comprensione» e dal rispetto della rerum natura, coi suoi cicli di semina e di «messa a dimora». Il poeta amministra nel suo rito la «cerimonia della solitudine» (come quella che celebrano gli astri palpitanti nel cielo) per suonare il «pentagramma / terracqueo del cuore» mentre ascolta nelle profondità del silenzio il «brusio sincrono del mondo» e avverte l’energia cosmica andamentale, l’impulso che muove il divenire mentre le cose «vanno nell’aria come onde di luce». La parola trasforma il mondo e costruisce universi: «tutto si muove già nella parola / da quella semplice a quella più complessa». Possiamo spostare il cielo con la sola forza dello sguardo e del pensiero. L’osservatore influisce sul fenomeno osservato, lo ha dimostrato la fisica quantistica ma lo sappiamo anche per esperienza ultrasensibile. «Pensa agli alberi / mentre li guardi cambiano colore». La poesia comincia dove si apre il regno dell’Ignoto: «Da qui iniziano i fantasmi». E dunque sentire i richiami sottili, riconoscere le cose «per misteriosa vocazione», avvertire la «fibra d’ombra / sfuggente ai più», e insomma collocarsi – per trasmutazione metafisica – entro il reticolato di una geografia invisibile che in realtà sostiene la facies visibile e “normale” delle cose apparenti.

Di conseguenza il poeta è sempre impegnato ad attaccare «le rughe / alle mancanze» di ciò che non è più, di ciò che non è ancora. Sua è anche la ferita del possibile, nel richiamo di «un’altra vita / quella dimenticata e persa / quella che avrebbe dato altri frutti / a viverla». Ecco quel particolare struggimento, la «trafittura dolce» che ci recano i versi: niente come la poesia dona la «soddisfazione / di soffrire dolcemente per il tempo passato / e per quello futuro». Lo sguardo poetico di Tiziana Marini è una «lacrima-lente / che ingrandisce gli spazi» per togliere gli ostacoli da cui è impedita la visione del vero. Questa lacrima si scontra con l’indifferenza feroce del mondo, non solo gli uomini ma anche e soprattutto la natura: ad esempio «quel punto del mare / che inghiotte ed è un olio / quando si richiude / come se niente fosse» (dove riecheggia naturalmente, dal XXVI° Canto dell’Inferno, «infin che ‘l mar fu sovra noi richiuso»). Al meccanicismo spietato che regola la vita su questo pianeta e il divenire del cosmo, noi opponiamo la forza del nostro disperato eppure, e quindi «Diciamo ora amore, senza aspettare». La scrittura nasce dalla preliminare accettazione delle fragilità, delle imperfezioni, delle preziose cicatrici. È il mastice dorato che incolla le fratture, è il «filo che trapassa / la cruna delle stelle», è casa, rifugio sicuro, «conchiglia eterna». Salva «ciò che sta sul palmo / un frammento, un grido». È suprema compensazione e ricomposizione dei destini, grazie a cui «ogni cosa va al suo posto»:

Resto con la penna-aratro
aggiustando le cose
in un epilogo misterioso
di uguaglianza. 

Questo libro ci ricorda intensamente che il mondo è interconnesso nella trasformazione perenne delle energie, per cui «non tutto muore / se lo ritrovi in un fiore / nel sapore dell’acqua / o in un volto». Il profondo è circolarità tra basso e alto: «un seme spaccato sul germoglio / come un taglio nel cielo». Anche il tempo è legato all’eternità («Penso che qualcosa di eterno si compia / ad ogni tuo gesto») e anche il nostro destino lascia contemplare in trasparenza una «misura / di cielo». Certo, il dolore è congenito, poiché «c’è distacco ad ogni metamorfosi», ma il poeta si sente chiamato (e chiama a sua volta) a una instancabile trasmutazione alchemica di senso contrario: «Prendiamo acqua dalla sabbia e facciamo / luce di resurrezione». Dobbiamo strappare «briciole al tempo» anche se il sapore è avvelenato dalla fine. Tutto chiede udienza al poeta, e il poeta ascolta e accoglie questi appelli, accettando di dare voce all’insolito, alle «minuscole memorie», a ciò che dimora o passa nelle più segrete pieghe degli istanti. Anche e soprattutto i fotogrammi labili e sfuggenti, come ad esempio le «ali di uccello nello specchio d’acqua / del sottovaso quando ha piovuto tanto».    

La dura legge della vita impone il continuo addio a persone, animali, oggetti, situazioni: tutto è destinato a scomparire. «Non c’è niente da fare / le cose si allontanano / per quanto strette / e non basta dire ci sarai / per sempre». Dove finiscono i morti e le loro consuetudini, l’essenza dei loro giorni terreni? Nella «parte primitiva» di chi li ha amati. L’essere umano ha la facoltà di sentire lo spazio attraverso le pareti, di immaginare il cielo attraverso i soffitti delle stanze, di esplorare il vuoto che ha sostituito la presenza fisica del corpo. E qui, per concludere, possiamo tornare all’amato Fusino: «allungo spesso la mano / sulla curva sottile dell’aria / dove ancora ti vedo / e ti accarezzo». La Poesia è quella dimensione percettiva dello spirito grazie a cui la forma invisibile del gatto, cioè la sua “presenza sottile” nel vuoto, finisce per essere più reale e vera dello spazio che occupava il suo corpo materiale. Capire e credere questo segna il confine che divide ma anche unisce il mondo della vita da quello dell’arte, ed è proprio qui che si incardina la differenza culturale che ci rende umani.   

Marco Onofrio

 

 

lunedì 10 giugno 2024

L'inclinazione di una foglia alla luce (Ensemble, 2023) nella recensione di Valerio Mattei

 








Tutto è luce. Non esiste nulla che non sia portato in materia su ali fotoniche. Sembrano frasi di un anime di metà anni Settanta, tipo Goldrake, ma è pura fisica quantistica. La stessa grazie a cui abbiamo appreso che un elettrone può trovarsi contemporaneamente in più posti, in più stati energetici simultaneamente. E soprattutto abbiamo imparato che la variabile in base a cui l’elettrone sceglie dove, come, cosa e quando “essere” non è la mano di un Dio, Principio Creatore imperscrutabile, barba bianca e fulmini alla mano, ma molto più banalmente (in apparenza) il nostro sguardo. Che poi è la stessa cosa – barba e fulmini a parte – dal momento che noi siamo in effetti portatori, radici e frutti di questa Divina Presenza, Scintilla Creativa, e che l’Eterno e l’Infinito ci abitano da sempre e per sempre. Roba da poeti? Non più in via esclusiva. Oggi è sempre più anche, come dicevo, roba da scienziati. Lo sa bene Tiziana Marini che nel suo “L’inclinazione di una foglia alla luce”  lascia trasudare con mano mite e cuore immenso tutta questa conoscenza in soffici parole intrise d’amore. Al contrario di quanto Lei stessa sostiene in “La parola che dura”:

 

La parola non basta all’amore.

 

Dice bene, certo, l’amore si fa, non si dice o almeno non soltanto. Ma questo non vale per Tiziana Marini, autrice di grande struttura e di enorme spessore culturale, umano, artistico. Tutta la Sua opera, ogni Sua parola trasuda amore e ovviamente luce. Amore per la vita, per il semplice fatto di esistere, di ringraziare, di danzare, di volare leggeri anche sui fatti più dolorosi. Per poi capire che questi ultimi non sono mai un male/male ma un male/bene, una svolta escatologica, un catapultarsi infinito e infinitesimale verso orizzonti di rinnovate maturità in ogni stagione della vita, in ogni “Anniversario”:

 

Ma la trafittura

Dolce della certezza

La spina del bene che mi vuoi.

 

Se tutto è transitorio, come fotogrammi di una pellicola, se è vero che (VII)

 

Non c’è niente da fare

le cose si allontanano

per quanto strette

e non basta dire ci sarai

per sempre.

 

…allora Tiziana Marini deve avere trovato, forse senza accorgersene (!), la Via Maestra, la Grande Autostrada del Cielo, novella Iside (“L’ora di Khepri”) e versione femminile di quello stesso Orfeo citato indirettamente e sibillinamente in componimenti di gelida, struggente bellezza come “I”:

 

C’è distacco a ogni metamorfosi.

Ma dal fuoco la cenere

restituisce

ombre filiformi di fiori

 

Tutto questo per donare nuova vita a ciò che sembrava perso, in uno sfilare, etereo e leggiadro di versi che si fanno immagine, grazie a questa Luce che davvero sembra attraversarci come lame che penetrano, dolcissime, diafane istantanee di vita, rese come sempre ingioiellate dallo scorrere (illusorio anche questo) del tempo, fino a che la loro bellezza non ci fa sorprendere in apnea. È questa apne
a magica, questa irripetibile occasione di frattura nella percezione del continuum spazio-temporale, il dono inestimabile che la Poesia ci offre, soprattutto quando il Suo lirismo è modulato da cuori elevati e raffinati come quello di Tiziana Marini, che ci regala (“Emoticon”)

 

[…] parole univoche

precise, oneste

per salvare un sorriso

altrimenti perso

per dire una poesia

che non resti dentro.


Valerio Mattei





Valerio Mattei, in arte Saman,  è autore, pianista/chitarrista, cantante e intrattenitore. E' autore del libro ''Lo sciamano (Edilet, 2019).  “SOS” è  il suo primo singolo e ''Alpha'' il suo primo album. Scrive di arte e letteratura.

lunedì 6 maggio 2024

 




‘’Siamo fatte di carta’’ di Anna Maria Scocozza e Floriana Porta

 

‘’Siamo fatte di carta. Arte, poesia e rinascita al femminile’’ di Anna Maria Scocozza e Floriana Porta (Edizioni Ventura – 2024) è un libro che potremo definire ‘’multisensoriale’’ dal momento che coinvolge a vari livelli, l’emotività espressa dai nostri cinque sensi, attraverso  profondi legami fra l’arte visiva e materica di Anna Maria Scocozza  e la poesia giapponese nella forma sintetica degli haiku e baishù di Floriana Porta. In particolare, l’arte visiva  si esprime e si concretizza negli indumenti, accessori e monili femminili, creati da Anna Maria Scocozza con il riutilizzo di materiali vegetali, in primis carta riciclata da libri e giornali quotidiani, erba e cortecce, materiali che danno vita a elementi profondamente simbolici, come lo è del resto tutto il percorso narrativo dell’opera, già intuibile dal titolo,  mentre invece  la poesia si esprime, come dicevo,  nella forma degli haiku e  baishù di Floriana Porta   che accompagnano  le immagini, e che, nella ‘’topografia’’  del testo, cadono con grazia  sulla pagina, come fiori su un campo primaverile a impreziosire  i ‘’tessuti’’ di quegli indumenti,  spiegandone la trama e il sentimento implicito. Un libro d’arte visiva e poesia, una danza fra anima e corpo che vicendevolmente si compenetrano,  per la condivisione di un progetto di rinascita che il riutilizzo dei materiali suddetti,  sottolinea. Ma andiamo con ordine. Che cos’è la carta se non  un materiale che ha molte vite e può assumere varie forme, un materiale plasmabile,  leggero e al contempo robusto che conserva le tracce di ciò che vi è stato impresso con la scrittura e ne conserva  la memoria,  ‘’povero’’, semplice  ma al contempo denso di valenze significative? L’artista  che lo usa nella sua forma riciclata per creare o meglio  ri-creare indumenti, accessori, monili femminili, lo fa di certo per un’idea di rinascita e di rinnovamento  ma anche per significanze più sottili e ramificate, quali ad esempio l’idea  di guarigione, laddove il filo d’oro usato per le cuciture/suture, rammendi o abbellimenti, diventa protagonista, segnando ed evidenziando  l’originaria ferita  e  intendendo quel dolore  come momento di guarigione, di rinnovamento e nuova consapevolezza, così come vuole l’arte giapponese del kintsugi. Parallelamente,  in un’unione simbiotica e sinergica, entra in campo  la poesia a dare voce  ai sentimenti, in un’estrema  e delicata sintesi e così facendo,  la parola diventa anch’essa indumento che veste l’anima e al contempo la denuda. In  quest’ottica il libro non ha soltanto una valenza evocativa e  psicologica,  ma  è anche e soprattutto  una narrazione filosofica, esistenziale e sociale per l’alto valore simbolico, storico ed antropologico  degli elementi che lo compongono,  tra rinnovamento e tradizione, ricordo e speranza. E’ un libro che educa e sensibilizza, dunque, alla consapevolezza, ai sentimenti, alla riflessione, alla bellezza in una veste ecologica che valorizza ‘’lo scarto’’, con delicatezza ed eleganza,  un libro  prezioso e quasi ‘’tattile’’, tanta è la concretezza dei materiali e delle parole che lo compongono, un libro che veicola messaggi potenti di fragilità e forza dell’universo femminile e,  non dimentichiamolo, fondato sull’amicizia e la collaborazione delle due Autrici. Si susseguono così nella trama della narrazione ‘’lingerie e scarpe poetiche’’ , ‘’libri alterati’’, ‘’accessori poetici’’, ‘’maschere ’’ in cui  ‘’ la carta è il più vasto degli universi’’, un universo nel quale ‘’Ho imparato a rifiorire, a ricominciare da capo…’’,  in cui ‘’la poesia  parla in molte lingue - dentro c’è Dio’’ e la natura diventa così religione dell’anima.

Tiziana Marini

 







“L’inclinazione di una foglia alla luce”, di Tiziana Marini, letto da Chiara Mutti

 

La percezione di esistere ancora per poco, eppure d’esserci, breve battito di ciglia, lasciando testimonianza del proprio passaggio nel divenire eterno della vita: «E il vuoto che lasciamo/è il vuoto di un bosco arso/ che rinasce a sorpresa/ per una radice salva/ per un seme casuale…».Tutto il significato di questa splendida raccolta poetica (“L’inclinazione di una foglia alla luce”, Ensemble Edizioni, 2023, pp. 90, Euro 13) è già in qualche modo anticipato nella poesia di apertura, dove appunto si osserva l’inclinazione di una foglia alla luce, cioè il filo che ci tiene legati alla vita: il leitmotiv stesso del libro. Tiziana Marini sa come condurci lungo quel filo, secondo sapienziale abilità evocativa di affetti e di aneddoti che sono profondamente suoi, ma che sono al contempo di tutti.

La scrittura di Tiziana sembra qui votata alle perdite, e d’altra parte la dedica alla cara amica e artista Nina Maroccolo, venuta(ci)a mancare purtroppo di recente, sembra già declinarne l’intento. Accade così che il tempo diventi una coperta troppo corta e non basti più a coprirci –se copriamo la testa si scoprono i piedi, e viceversa – quando dobbiamo fare i conti con il fatto che la vita rimasta a nostra disposizione si accorciaun po’ di più ad ogni istante, e che il vero rischio è quello dinon saperla spendere interamente.Allora nasce e cresce in noi l’urgenza di dare un nome reale e preciso agli eventi e alle cose che ci sono intorno, di ri-conoscerli, tirando le somme alla nostra vita:«si va verso un punto/verso il bene e il male/ che abbiamo vissuto. / Dicono sia la resa dei conti». E questa urgenza di comprendere ciò che è stato diventa un invito a liberarcene, a lasciare «che tutto esca/ da noi», a consentire che fluisca, che venga inghiottito dal mare. È un invito al vuoto che continua nelle liriche successive: «di vuoto in vuoto /si procede»Sono queste le occasioni che, come suggerisce l’autrice,dobbiamocogliere se sappiamo fermarci ad ascoltare: riuscire a vedere l’invisibile lì dove la vita, a un certo punto,giunge alla resa dei conti. Allora la risposta nasce dall’osservazione della natura e dal gioco degli eterni opposti:la parola dal silenzio, la luce da un cono d’ombra.

 

Le ombre ci mostrano allora un’altra vita

quella dimenticata e persa

quella che avrebbe dato altri frutti

a viverla.

 

Voce è data alla natura tutta, in questo libro: il «ramo di ciliegio affossato»,dei bellissimi versi di “Dunkerque”, eil vento, la nebbia, la neve, le nuvole –coltri con le quali possiamo coprirci– eil mare, le stelle,«una supernova che collassa sul letto/la sua lenta fine» e, soprattutto,le foglie che trasmutano in simbolo: foglie uccello, foglie mani,foglie gesto («lo stesso frullo del gestodi scrivere l’aria»), parole che nascono dall’atto di scrivere.Foglie abbandonate al vento,che si accalcano lì dove il cono d’ombra le attrae; che c’insegnano l’arte di “lasciare andare”. Così,alla fine,perfino l’atto del morire diventa accoglimento del proprio destino,ma nella consapevolezza che il cielo accoglie e non ha fine, che le stagioni tornano e ritornano ogni anno, sempre.

Nella poesia di Tiziana Marini si assiste a questo perenne fluire del tempo e a questo continuo trasmutare di entità materiche in entità metaforiche, e di finitudine in nuovi inizi, in un movimento perpetuo e circolare che è ciclo delle stagioni ma anche principio filosofico della stessa vita umana.

 

Vanno nell’aria come onde di luce le cose

tutto va appena nato

ma qualcosa poi ritorna.

 

In particolare questo concetto di rinascita incessante, o vaticinio di ritorno, diventa evidente nella seconda parte del libro: non c’è forse un po’ della stagione che sta per arrivare, in quella appena trascorsa? La primavera è già tutta in quel minuto di luce in più aggiunta al giorno,sin da fine dicembre…“impensabile talea” fiorita nel cuore dell’inverno; ed è insitonella sensibilità del fotografo e del poeta saper cogliere queste luci,così come afferrare l’attimo, trattenendolo per sempre.Tiziana è l’uno e l’altro, sa che il piccolo riproduce in nuce il grande e già contiene il tutto eche, al contempo,l’esistenza non è mai ferma e si sposta incessantemente in avanti. Conosce il significato recondito che risiede in ogni incontro, umano o non umano che sia, e coltiva con amore e speranza la certezza che ogni tassello della nostra vita troverà alfine la sua giusta collocazione.Sa che ogni attimo vissuto resta profondamente inciso nella nostra memoria.Richiamare alla memoria questi momenti preziosi è compito del poeta, così come svelarne i significati più reconditi, gettare luce lì dove l’ombra ne custodisce il segreto, svelandolo così al mondo.La parola di Tiziana si muove sicura:«resto con la penna-aratro / aggiustando le cose /in un epilogo misterioso…»

La parte finale, struggente e dolcissima, è dedicata alla perdita dell’amato micio Fusino esi apre con la dedica:Abbi cura di me (a Fusino).Questa esortazione riesce a rendere in modo diretto e semplicissimo quanto può essere unico ed esclusivo il nostro rapporto congli animali,e quanto può risultare desolante e dolorosa la loro assenza. Anche in questo caso Tiziana riesce a cogliere e ad utilizzare le parole-simbolo necessarie per significare il senso di perdita ea cogliere i sottilissimi segnali della continuità della presenza attraverso il ricordo:

 

Da lì torni ogni tanto

mordi il mio cuore e ti allontani.

Da lì ogni tanto torni a costruire

minuscole memorie.

 

Un libro di alta e intensa poesia, in cui mi sono specchiata, persa, ritrovata e commossa, e che segna, a mio avviso –pur avendo apprezzato molto le quattro precedenti pubblicazioni poetiche di Tiziana Marini, già riuscitissime – il raggiungimento di una sua piena maturità poetica.


Dal blog ''Del cielo stellato'' di Edilet Edizioni:

https://ediletteraria.wordpress.com/2024/04/22/linclinazione-di-una-foglia-alla-luce-di-tiziana-marini-letto-da-chiara-mutti/


 

Chiara Mutti

giovedì 25 aprile 2024

Stupore di vento, una mia poesia



                                         Stupore di vento

 

Stupore di vento dove non c’è altro che  un canto

di angeli invisibili (cos’altro potrebbe essere?)

e un respiro grande come un campo

di crochi, quell’indaco che diventerà scrittura

 lo so. Lì mi sono fermata e con le narici

ti ho toccato, registro estremo di voce, mentre

sfiorando la mia spalla, suturavi lo strazio

e mi dicevi ‘’c’e’ il bene da tanto tempo e non lo vedi’’

e,  sospeso sui monti, sotto forma di nebbia, scendevi

 

flauto  sovracuto di un Dio albero steppa tempesta fieno

per il magro gregge rimasto,  plettro di narcisi

in preghiera nell’edicola votiva.

 

Qui in questo quadro animato da fiori mitologici

tremanti e purissimi, di millenarie  orchidee

e genziane acerbe nulla straripa, tutto sta

chiuso nella cornice come nell’ispirazione.

(Tiziana Marini-Piana di Jenne, Marzo 2024)










 (  Testo e foto di Tiziana Marini © 2024)









































 


sabato 13 aprile 2024

''Tracciature'' (Terra d'Ulivi Edizioni, 2023), la nuova raccolta di poesie di Lucio Macchia

 ‘’Tracciature’’  di Lucio Macchia (Terra d’Ulivi Edizioni, 2023). Una nota di lettura.

 

 

Nella comprensione di un testo, il titolo dice se non tutto sicuramente molto. Così nello specifico di questa raccolta di poesie di Lucio Macchia (Tracciature, Terra d’Ulivi 2023), le ‘’tracciature’’ del titolo ne illuminano il contenuto e ne indicano il percorso. Tante sono ovviamente le possibili chiavi di lettura e in generale gli spunti che tali ‘’tracciature’’, Crop Circles dell’anima,  felicemente misteriosi e chiari a un tempo, offrono al lettore attento, ma, a mio parere, non si può comunque prescindere dal significato di ‘’segno’’ che evocano con forza. E se si parla di segno, è naturale far riferimento al segno  fondamentale, ossia  la parola scritta e detta, qui vista nel suo potere ‘’creante’’ l’esistenza stessa, come bene illustra la poesia-prologo ‘’Lo specchio’’ (‘’…Non sapeva / - quasi mai -/ vivere senza dirselo. / Senza tutta / quell’esistenza / - con lui - / nello specchio / d’una parola’’), dove il  riferimento forte  diventa leitmotiv del testo nella sua interezza. La silloge lascia intendere perimetri da tracciare, contorni e incisioni, proprio intorno alle parole così da scavare nel punto esatto del loro significato più potente. Si parla di solchi come quelli dei campi da arare,  per continuare nella similitudine precedente, intendendo la penna come un aratro, (mi sovvengono a tal proposito alcuni versi di Seamus  Heaney ‘’…Tra l’indice e il pollice / la mia atticciata penna si adagia. / Scaverò con quella’’) e il poeta, in qualche modo, come un agricoltore intento a spargere nei solchi tracciati, nomi, forme, significati e per ultime, ma mai ultime per davvero, le emozioni piu’  intense. Ma i solchi  sono anche quelli microscopici e concentrici dei vecchi dischi di vinile nei quali la puntina che li percorre rivela  melodie altrimenti non udibili. E’ dunque un mondo tutto da scoprire e plasmare quello delle ‘’tracciature’’ di Macchia, alla luce di queste brevi considerazioni, un mondo di plasmabile argilla al tornio dove  incidere con il lieve tocco delle dita,  le scanalature più profonde, appunto le ‘’tracciature’’ del titolo, che altro non sono se non  la vita stessa, incisa  forse non solo dalla penna del poeta o da una immaginaria puntina, bensì da una luce mirata e concentrata come quella di un laser tagliente,  sempre presente nei testi della raccolta, una luce che,  declinata in tutte le sue molteplici modalità, rivela i contorni precisi della parola poetica,  così da essere, alla fine,  la vera protagonista.  La raccolta è divisa in quattro emblematiche sezioni: Insistenze, Percezioni, Occhi, Respiri ad indicare  il percorso conoscitivo dell’Autore che dal dato sensoriale e soggettivo, empirico ed immanente, attraverso un processo intuitivo / immaginativo, ci conduce ad una  metafisica  condivisibile ed in effetti condivisa,  nella  quale le sue poesie snelle ed essenziali anche visivamente, narrano di una verità molto più complessa di quella effettuale, in cui gli oggetti della quotidianità si mostrano per ciò che sono ma, essendo anche altro, sono solo  il punto di partenza per altri universi e altri livelli di lettura.   Dicevo luce protagonista, luce declinata in mille sentimenti, luce che  illuminando ancor più nasconde, destruttura e confonde. Così, per paradosso,  il vero luogo e tempo della vita e della poesia,  davvero vivo non è il giorno con la sua luce (…E’ un giorno / senza fatti / e storia, solo / una corsa / contro il cielo / devastato di luce: / spunto fuori / dal tempo / come da una nera / pozza / - respiro. ), bensì la notte con le sue ombre e il suo buio protettivo. Infatti la luce, sembra dirci Macchia,  in quanto brillante e chiara, rivela il mondo com’è, con la sua caducità intrinseca, le sue deformità, la sua evanescenza nascosta, i suoi pericoli, una realtà dunque  fragile e tremante in cui nomi e forme perdono la consistenza degli oggetti concreti, una realtà in cui domina il vento che tutto allontana e una pioggia che tutto diluisce. Al contrario la notte offre riparo e protezione, nascondiglio e salvezza alle tracce luminose da preservare per ritrovare la strada e ritrovarsi spesso proprio nelle pieghe e nei particolari più piccoli del quotidiano vivere.  Tutto è nel buio, tutto nel buio è vivo. Scrive  infatti Macchia: ‘’Agli orli inferiori / nel silenzio / al buio / tremante / in basso / caduto / fragile / inadatto / all’imo / ferito / remoto / e debole / nell’ombra / d’assenza / tra le macerie / errante / sperso. / Lì.’’. Tra il prologo e l’epilogo del libro, dunque un mondo di luci, spesso verdazzurre, colore simbolico e totemico, a mio avviso,  ‘’luci disperse, stremate, immobili, assordanti’’ e lo svolgersi di un giorno che ci colloca nell’ora cruciale del tramonto, sospesi e confusi tra luce e buio, nella trasformazione del giorno in sera e poi in notte quando proprio tutto ciò che scompare e che non è più visibile  in realtà c’è, resta ed è eterno, (…Com’è minuto -  qui -  il tuo stare. (…) Percezione / di cose increate / a emanare / una persistenza / eterna). Così prati, montagne, fiori, ma anche pioggia e vento, nuvole e silenzio, case e boschi, acquistano senso e nome e noi con loro, in un universo dove non conta in definitiva la traccia ma il tracciare, il farsi, poiché nessuna traccia è fatta per restare ( Non le tracce. Non i lasciti.  Il tracciare, solo il tracciare. (…) E noi dentro la vita : / solo questo ‘’interno’’ / e nessun ‘’fuori’’. Stanze immense / d’un ‘’qui’’ grande / come il mondo.’’. Resta dunque solo una tracciatura, hic et nunc, che in concreto è soltanto una dimensione interiore del fare, del creare, del vivere, dimensione alla quale non possiamo e  non dobbiamo sottrarci.

 Tiziana Marini

 

sabato 6 gennaio 2024

I gigli bianchi, una poesia di Louise Gluck

 




I Gigli bianchi di Louise Gluck


Mentre un uomo e una donna coltivano

un giardino tra loro come

una distesa di stelle, qui

indugiano nella sera d’estate

e la sera volge

al freddo per il loro terrore: tutto potrebbe

finire, andare in rovina.Tutto, tutto

può disperdersi, nell’aria profumata

le esili colonne che salgono invano e, più in là,

un tumultuoso mare di papaveri -


–Taci, mio amato. Non m'importa 

quante estati vivo per tornare:

questa  estate  ci ha dato l’eternità.

Ho sentito le tue mani

seppellirmi per liberare il suo splendore.


da ‘’L’iris selvatico''  trad. Tiziana Marini



The white lilies

by Louise Gluck

As a man and woman make
a garden between them like
a bed of stars, here
they linger in the summer evening
and the evening turns
cold with their terror: it
could all end, it is capable
of devastation. All, all
can be lost, through scented air
the narrow columns
uselessly rising, and beyond,
a churning sea of poppies–

Hush, beloved. It doesn’t matter to me
how many summers I live to return:
this one summer we have entered eternity.
I felt your two hands
bury me to release its splendor






mercoledì 3 gennaio 2024

Meraviglioso Abruzzo - Stunning Abruzzo

Dal  Castello di Rocca Calascio al Gran Sasso, passando per Campo Imperatore e  il Lago di Campotosto.

From The Castello of  Rocca Calascio to the Gran Sasso, passing through Campo Imperatore and  Lake Campotosto.















 
                 Il Castello di Rocca Calascio conosciuto anche come il Castello di Lady Hawke



martedì 2 gennaio 2024

INTORNO A ''L'INCLINAZIONE DI UNA FOGLIA ALLA LUCE''


 




INTORNO A “L’INCLINAZIONE DI UNA FOGLIA ALLA LUCE”

nota di lettura di Andrea Mariotti

 


Nell’ultima di copertina della recente silloge di Tiziana Marini si legge, in basso “poetessa, fotografa…” ma, forse, meglio sarebbe dire dell’autrice: poetessa-fotografa, come suo tratto peculiare. Del resto già il titolo della raccolta sembrerebbe avvalorare un pensiero del genere: “L’inclinazione di una foglia alla luce”, Edizioni Ensemble, 2023. Non da oggi, infatti, c’è nella poesia della Marini una capacità rilevante d’osservazione, di messa a fuoco di ciò che discretamente ci circonda: le piccole epifanie della natura intercettate da una singolare acutezza percettiva. Così dicendo, veniamo subito al punto; nel senso che, questo ultimo libro della poetessa per me vola alto rispetto ai possibili pericoli di una poetica “delle piccole cose”; di uno sterile, pittorico intimismo, per capirci. Una intonazione quasi severa, distaccata, guida in effetti la succitata acutezza nei versi della raccolta in oggetto, fin dalla poesia introduttiva senza titolo, della quale si riporterà la significativa parte centrale: “…mentre la sera accade e l’acqua/ di un piovasco si contrae./ Sembra un graffio sul tronco/ per ritrovare la strada/ o un nome sulla tomba/ a dirmi chi siamo/ questa povera vena della mano/ che esce dal cono”. Ma eccola, la poetessa-fotografa, uscire subito allo scoperto un paio di pagine dopo in questa prima sezione del libro con una poesia, “L’altra vita”, capace di donare al lettore bellezza sorprendente di visione, in un volo radente atto a rendere vivido ciò che altrimenti verrebbe sacrificato dal nostro sguardo distratto: ”Scendeva il cielo tra gli strati sedimentari/ riconoscendoli./ Scendeva sulle criniere spinose dei cardi…/ Le ombre ci mostrano allora un’altra vita/ quella dimenticata e persa/ quella che avrebbe dato altri frutti/ a viverla”: laddove il bellissimo terzo verso, anaforato con il primo, si fa vessillo di quell’acutezza percettiva saliente come si diceva nella poesia di Tiziana Marini; qui fusa col rimpianto asciuttissimo in chiusa del testo. Senza enfasi alcuna, le poesie di questa raccolta tratteggiano l’oscurità all’interno della quale brancoliamo oggi, leggendo per esempio i versi di “In quel punto del mare”:

 

Si va verso un punto

verso il bene e il male

che abbiamo vissuto.

Dicono sia la resa dei conti.

Guarderemo

i segni sulla nostra pelle

ci guarderemo l’un l’altro

nelle impronte dei baci presi

e dati sul cuore.

Sapremo se ci sarà tempo

per altre prove

e attaccheremo le rughe

alle mancanze

lasciando che tutto esca

da noi

in quel punto del mare

che inghiotte ed è un olio

quando si richiude

come se niente fosse

 

 

opportuno mi è sembrato riportarla per intero questa poesia al fine di attirare l’attenzione sulla efficacissima assonanza cuore/prove, capace di evocare quella condizione di astratto, sterile intellettualismo che oggi troppo spesso ci separa dalla vita e dagli altri, impedendoci di sentire; assonanza di forza centripeta nel mezzo di un dettato poetico pacato se non impassibile, suggestivo nella sua conclusione di peso assolutamente specifico, è proprio il caso di dire. Conosco da anni Tiziana Marini, la cui probità di persona mi sembra racchiusa ed espressa con pacata fermezza nella prima strofe della seguente poesia dal titolo “Sulle vostre tempie”: “Faccio con le mie forze/ senza esperimenti linguistici/ o di convenienza/ e non brillo di luce riflessa/se brillo./ Non mi appoggio.” E davvero il libro di cui stiamo parlando è un libro onesto in senso sabiano, in cui circola aria pulita; anzi, “Più del vento”, alludendo alla poesia che maggiormente mi ha toccato e che riporterò anch’essa per intero:

 

Lasciare andare un mattino d’autunno

le foglie.

Lasciare che corrano negli angoli

senza vento

nelle pieghe dell’aria

prima che l’ossigeno le decomponga

in altra sostanza

prima del loro destino di ruggine.

 

Lasciarle andare dove si raccolgono

strette strette

e suonano  tra loro parole fitte

nell’illusione di trovare

una via d’uscita

 

 

…ché tutto il meglio della poesia di Tiziana Marini mi sembra davvero fuso in questi versi pacati e dolenti; di accettazione del nostro destino simboleggiato da foglie febbrili e impotenti, logorroiche e illuse, strette nell’angolo, senza via d’uscita: come non ripensare in merito al distico ungarettiano “Foglie, sorelle foglie,/ Vi ascolto nel lamento”? Metafora di forza potente, quella della nostra poetessa in sintesi, ma trasparente e leggera; segnata in ultimo dall’acutezza percettiva sublimata in coscienza morale che parla per tutti. La mia riflessione su questa recente silloge di Tiziana Marini avaramente qui si conclude, nel senso che molto dovrei ancora dire in quanto a bellezze e valori poetico-umani di essa; fiducioso di aver comunque espresso la mia emozione e partecipazione di lettore.

  Andrea Mariotti, fine dicembre 2023



Andrea Mariotti è poeta e critico letterario. Laureato in Lettere Moderne, con una tesi sullo Zibaldone di Leopardi, ha pubblicato: Lungo il crinale, 1998; Spento di sirena l’urlo, 2007 (premio “Voci” 2010); Scolpire questa pace,2013 (secondo classificato premio “Mario Arpea” 2015)., La tempra dell'autunnno, 2020.E’ stato redattore della rivista letteraria “I fiori del Male”. Sue poesie sono pubblicate su riviste e antologie. Il 20/2/2015, nella giornata inaugurale del Laboratorio Leopardi, a cura della Facoltà di Lettere presso La Sapienza, a Roma, ha offerto la sua lettura interiore de “La Ginestra”.

mercoledì 1 novembre 2023