Convince
e cattura l’ultima raccolta di poesie di Raffaele Ciminelli dal
titolo ‘’Insolitudine’’ (Ed. Nemapress - 2018), raccolta che il poeta ha
dedicato alla moglie Adelina, musa ispiratrice di questo e di tanti altri
scritti del poeta. Il titolo ci conduce
subito allo stato d’animo che l’ha ispirata. La cosiddetta ‘’insolitudine’’ è infatti un
neologismo che indica una categoria dello spirito e uno stato di grazia al
tempo stesso. Da un lato ci fa pensare
ad uno stato di solitudine, ma se consideriamo ‘’in’’ come un prefisso che
nega, il neologismo ci dice chiaramente che nel parco dove è ambientata
e dov’è nata la raccolta, la solitudine in realtà non esiste, e se c’è è solo una fonte di ispirazione per creare relazioni con il mondo circostante, con
una natura vista come forza vivificatrice, una natura naturans, panteistica e
spesso misteriosa che ci fa pensare a Giordano Bruno e a Spinoza, ma anche ad uno ‘’sturm und drang’’ che è equilibrio fra ragione, passione e
sentimento, lontanissimo da ogni facile romanticismo.
Il
libro e’ suddiviso in 5 sezioni: L’ombra della gioia, Dovremmo amarci, D’infinito
tempo, Prima di sera ed Essere notte,
che ci ricordano le età della vita, le
ore del giorno, l’alternarsi delle stagioni, in modo tale che ognuna costituisce un ciclo a sé, un ciclo che
si conclude per riaprirsi nel successivo, un percorso che si snoda all'interno della raccolta come
una spirale che avvolge avvolgendosi, e
in cui ogni poesia si lega all'altra in un ininterrotto, ideale fil rouge.
La
silloge si apre con la poesia che recita ‘’io sono un uomo qui sulla terra” ,
con un verso che racchiude una grande
consapevolezza di sé, sia in senso individuale che collettivo e che ci dice con
semplicità e profondità chi siamo. Il poeta immagina cosa troverà oltre
l’orizzonte: un giardino fiorito in cui finalmente sedere in compagnia dei ricordi, un giardino dove tutto ha un senso e nulla
accade per caso e dove finalmente egli può trovare il significato più profondo della vita. Nella poesia ‘’L’ombra della gioia’’
che dà il nome alla prima sezione, abbiamo un’ulteriore conferma di questa consapevolezza. Nella chiusa infatti, il poeta afferma che
nel crepuscolo della nostra vita, ‘’ci
ha visitato l’ombra della gioia’’, che non è un assottigliarsi di questa, ma un
arricchirsi di sfumature, una capacità
di accettazione e soprattutto di comprensione del mistero della vita stessa.
Queste
poesie sono state scritte nel parco, il parco del Colle Oppio, vivace e
multietnico come lo è il quartiere che lo ospita, l’Esquilino. Ma cos'è il
parco? Una via di mezzo tra locus amoenus e hortus conclusus, un luogo che
rimanda ai miti e agli archetipi, un’entità a metà strada tra il bosco sacro e il giardino laico, un giardino di Alcinoo o delle Esperidi, ma
anche l’Eden, e forse i campi Elisi in cui tornare. E’ un luogo in cui l’eroe e
l’uomo, varcandone la soglia reale o simbolica, possono intraprendere un viaggio
nel tempo, nella natura e all'interno
di se stessi.
Le
qualità di questa silloge sono molteplici, si va da quelle più macroscopiche a
quelle più nascoste, come fossero temi nei temi. Una scatola cinese o una matrioska
in cui il parco è una metafora della
vita, con le sue ore, le sue stagioni, le sue età e i suoi colori, una realtà,
una dimensione continuamente in trasformazione, chiaramente una trasformazione
ciclica. Ma lo è ancora di più per le emozioni che suscita, attraverso la
visione di una natura mutevole e di una umanità fatta di personaggi
emblematici. Nel parco dunque vivono soprattutto le emozioni e si creano
relazioni di empatia con le cose e le
persone nel ritmico ed inesorabile trascorrere del tempo.
Molti
sono i temi trattati. La vita (traducibile nella vivacità dei bambini), la
morte, la vecchiaia, la nostalgia, il rapporto con la natura (alberi in primis
ma anche il vento, la pioggia, i fiori, il sole, gli uccelli), l’amore,
l’attesa. Tutto però si veste di noi e noi ci vestiamo di loro a seconda dello
stato d’animo, in un continuo scambio. Forse
dovremo dire, il parco siamo noi e noi
diventiamo il parco, spettatori / attori
del grande spettacolo della vita. Ma due temi spiccano fra i tanti: il
tema dell’attesa e il tema dell’albero
che accompagna tutto il percorso spazio / temporale della silloge.
L’albero
è un simbolo di vita in evoluzione e in ascensione, ci parla di rigenerazione e
rinascita e mette in comunicazione le profondità
della terra, la superficie e l’aria con il suo estendersi in verticalità. E’
presente in tutte le religioni e in tutte le culture. Dall'Albero della
vita e della Conoscenza del bene e del
male nella nostra religione, all’Albero dell’Illuminazione nel Buddismo. Jung
nella sua opera “Ricordi, sogni, riflessioni” lo definisce come l’entità più
prossima all'incomprensibile significato della vita. Per Raffaele Ciminelli gli alberi sono davvero
tutto questo e ancor più sono amici, depositari e testimoni del tempo e delle
emozioni.
Il
tema dell’attesa (e della speranza) è un tema molto presente in poesia. Basta
pensare al Leopardi de ‘’Il sabato del villaggio’’, in cui si dice che la vera
gioia non consiste nell'appagamento del
desiderio, sempre deludente, ma nella sua attesa, appunto, o al Montale di ‘’Gloria del disteso mezzogiorno’’ in cui
il poeta afferma che ‘’in attendere è gioia più completa’’. E poi in letteratura, per esempio l’attesa metafisica
di Samuel Becket in ‘’Aspettando Godot’’ o di Dino Buzzati ne ‘’Il deserto dei
tartari’’. Senza dimenticare ai giorni nostri, i testi di Leonard Cohen come ‘’Waiting
for the miracle’’.
Infine
la vita è per Raffaele Ciminelli non
solo un percorso di conoscenza ma
anche la semplice voglia di stupirsi e
di amare il mondo circostante, la capacità rara di trovare in ogni cosa, fiore,
albero, persona, la ragione ultima della nostra vita.
Lontano
da ogni pessimismo esasperato, così come
da ogni facile ottimismo, il poeta
sembra quasi esortarci ad imparare dai
bambini l’amore purificato da ogni sovrastruttura, il gioco, il sogno, la
semplicità, la comprensione dell’altro anche se soltanto ci sfiora passando,
con quella fiducia fanciullesca che annulla le distanze, con quella lieve gioia
che dobbiamo imparare a riconoscere nel nostro sentire, nel silenzio del parco
come nel profondo dell’anima. E questo è un grande insegnamento in un tempo in
cui il caos e il rumore nascondono ben
più grandi silenzi ed incertezze collettive.
Nessun commento:
Posta un commento