domenica 25 novembre 2018

Nota di lettura a “Insolitudine” (Ed. Nemapress 2018) di Tiziana Marini



Convince e cattura  l’ultima  raccolta di poesie di Raffaele Ciminelli dal titolo ‘’Insolitudine’’ (Ed. Nemapress - 2018), raccolta che il poeta ha dedicato alla moglie Adelina, musa ispiratrice di questo e di tanti altri scritti del poeta. Il titolo  ci conduce subito allo stato d’animo che l’ha ispirata.  La cosiddetta ‘’insolitudine’’ è infatti un neologismo che indica una categoria dello spirito e uno stato di grazia al tempo stesso.  Da un lato ci fa pensare ad uno stato di solitudine, ma se consideriamo ‘’in’’ come un prefisso che nega, il neologismo ci dice chiaramente che nel parco dove  è ambientata  e dov’è nata la raccolta, la solitudine in realtà non esiste,  e se c’è è solo una fonte di  ispirazione per  creare relazioni con il mondo circostante, con una natura vista come forza vivificatrice, una natura naturans, panteistica e spesso misteriosa  che ci  fa pensare a Giordano Bruno e a Spinoza,  ma anche ad uno ‘’sturm und drang’’ che è  equilibrio fra ragione, passione e sentimento, lontanissimo da ogni facile romanticismo.
Il libro e’ suddiviso in 5 sezioni: L’ombra della gioia, Dovremmo amarci, D’infinito tempo, Prima di sera ed  Essere notte, che ci  ricordano le età della vita, le ore del giorno, l’alternarsi delle stagioni, in modo tale che ognuna  costituisce un ciclo a sé,  un ciclo che  si conclude per riaprirsi nel successivo, un percorso  che si snoda all'interno della raccolta come una spirale che avvolge  avvolgendosi, e in cui ogni poesia si lega all'altra in un ininterrotto, ideale fil rouge.

La silloge si apre con la poesia che recita ‘’io sono un uomo qui sulla terra” , con un  verso che racchiude una grande consapevolezza di sé, sia in senso individuale che collettivo e che ci dice con semplicità e profondità chi siamo. Il poeta immagina cosa troverà oltre l’orizzonte: un giardino fiorito in cui finalmente  sedere in compagnia dei ricordi,  un giardino dove tutto ha un senso e nulla accade per caso e dove finalmente egli può trovare  il significato più profondo  della vita. Nella poesia ‘’L’ombra della gioia’’ che dà il nome alla prima sezione, abbiamo un’ulteriore  conferma di questa consapevolezza.  Nella chiusa infatti, il poeta afferma che nel crepuscolo della nostra vita,  ‘’ci ha visitato l’ombra della gioia’’, che non è un assottigliarsi di questa, ma un arricchirsi di sfumature,  una capacità di accettazione e soprattutto di comprensione del mistero della vita stessa.
Queste poesie sono state scritte nel parco, il parco del Colle Oppio, vivace e multietnico come lo è il quartiere che lo ospita, l’Esquilino. Ma cos'è il parco? Una via di mezzo tra locus amoenus e hortus conclusus, un luogo che rimanda ai miti e agli archetipi, un’entità a metà strada tra il  bosco sacro e il giardino laico, un  giardino di Alcinoo o delle Esperidi, ma anche l’Eden, e forse i campi Elisi in cui tornare. E’ un luogo in cui l’eroe e l’uomo, varcandone la soglia reale o simbolica, possono intraprendere un viaggio nel tempo,   nella natura e all'interno di se stessi.
Le qualità di questa silloge sono molteplici, si va da quelle più macroscopiche a quelle più nascoste, come fossero temi nei temi. Una scatola cinese o una matrioska in cui  il parco è una metafora della vita, con le sue ore, le sue stagioni, le sue età e i suoi colori, una realtà, una dimensione continuamente in trasformazione, chiaramente una trasformazione ciclica. Ma lo è ancora di più per le emozioni che suscita, attraverso la visione di una natura mutevole e di una umanità fatta di personaggi emblematici. Nel parco dunque vivono soprattutto le emozioni e si creano relazioni di empatia  con le cose e le persone nel ritmico ed inesorabile trascorrere del tempo.
Molti sono i temi trattati. La vita (traducibile nella vivacità dei bambini), la morte, la vecchiaia, la nostalgia, il rapporto con la natura (alberi in primis ma anche il vento, la pioggia, i fiori, il sole, gli uccelli), l’amore, l’attesa. Tutto però si veste di noi e noi ci vestiamo di loro a seconda dello stato d’animo, in un continuo scambio.  Forse dovremo  dire, il parco siamo noi e noi diventiamo il parco, spettatori / attori  del grande spettacolo della vita. Ma due temi spiccano fra i tanti: il tema dell’attesa  e il tema dell’albero che accompagna tutto il percorso spazio / temporale della silloge.
L’albero è un simbolo di vita in evoluzione e in ascensione, ci parla di rigenerazione e rinascita e mette in comunicazione  le profondità della terra, la superficie e l’aria con il suo estendersi in verticalità. E’ presente in tutte le religioni e in tutte le culture. Dall'Albero della vita  e della Conoscenza del bene e del male nella nostra religione, all’Albero dell’Illuminazione nel Buddismo. Jung nella sua opera “Ricordi, sogni, riflessioni” lo definisce come l’entità più prossima all'incomprensibile significato della vita. Per  Raffaele Ciminelli gli alberi sono davvero tutto questo e ancor più sono amici, depositari e testimoni del tempo e delle emozioni.
Il tema dell’attesa (e della speranza) è un tema molto presente in poesia. Basta pensare al Leopardi de ‘’Il sabato del villaggio’’, in cui si dice che la vera gioia  non consiste nell'appagamento del desiderio, sempre deludente, ma nella sua attesa, appunto, o al Montale  di ‘’Gloria del disteso mezzogiorno’’ in cui il poeta afferma che ‘’in attendere è gioia più completa’’. E poi  in letteratura, per esempio l’attesa metafisica di Samuel Becket in ‘’Aspettando Godot’’ o di Dino Buzzati ne ‘’Il deserto dei tartari’’. Senza dimenticare ai giorni nostri, i testi di Leonard Cohen come ‘’Waiting for the miracle’’.

Infine la vita  è per Raffaele Ciminelli non solo un percorso di conoscenza  ma anche  la semplice voglia di stupirsi e di amare il mondo circostante, la capacità rara di trovare in ogni cosa, fiore, albero, persona, la ragione ultima della nostra vita.
Lontano da ogni  pessimismo esasperato, così come da ogni facile  ottimismo, il poeta sembra quasi esortarci  ad imparare dai bambini l’amore purificato da ogni sovrastruttura, il gioco, il sogno, la semplicità, la comprensione dell’altro anche se soltanto ci sfiora passando, con quella fiducia fanciullesca che annulla le distanze, con quella lieve gioia che dobbiamo imparare a riconoscere nel nostro sentire, nel silenzio del parco come nel profondo dell’anima. E questo è un grande insegnamento in un tempo in cui il caos e  il rumore nascondono ben più grandi  silenzi ed  incertezze collettive.



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