venerdì 1 ottobre 2021

''Museo dell'Uomo'' di Plinio Perilli (Editrice Zona, Genova 2020) un museo per l'uomo, allestito nel cuore.

 


Plinio Perilli, Museo dell’uomo. Poesie e poemetti (1994-2020), Editrice Zona, Genova 2020












Se la poesia è uno degli ultimi spazi in cui sacro e umano traggono ragione l’uno dall’altro, compenetrandosi, senza contrapposizioni o dicotomie inutili, se la poesia è dialogo dell’anima con l’anima mundi e testimonianza del mistero dell’uomo e della sua condizione, se la poesia è memoria salvifica e il compito  del poeta nel nostro mondo è, tra gli altri,  quello di preservare tale memoria, allora l’ultima raccolta di poesie e poemetti  di Plinio Perilli, ‘’Museo dell’uomo’’ – poesie e poemetti 1994-2020 ’’(Ed. Zona 2020), scritti  in un arco di tempo  trentennale, si colloca a pieno titolo  in questo spazio straordinario, essendo essa stessa in tutto e per tutto straordinaria, speculare e funzionale a questi intenti. Diciamo subito  che ‘’Museo dell’uomo’’ è un’opera complessa, appassionata e appassionante, che si dipana in un racconto denso, che diventa periplo della storia  dell’Autore e dell’Uomo, personale e collettiva dunque, e lo fa procedendo lungo rotte multidirezionali e percorsi  attorno all’uomo e per l’uomo, seguendo  rotte che conducono, allargandosi sempre più, alla nascita  stessa del genere umano, colta in un Adamo disteso, ancora nascente. Ma la raccolta è anche un viaggio di circumnavigazione e di immersione totale   nella reiterata  autodistruzione del genere umano, tra guerre, Olocausto, terrorismo e pandemie, e  al tempo stesso,  nella salvezza e nella rinascita  comunque presenti, nonostante tutto, nella nostra vita, quali porti sicuri e  fari sempre  custoditi e alimentati in luce dai sentimenti d’amore, fiducia  e amicizia.  Il titolo, ‘’Museo dell’uomo’’, esprime appieno  la portata del pensiero narrativo  che soggiace all’opera,  opera che è frutto di un lavoro poetico immenso, illustratoci dall’ Autore stesso nella nota conclusiva, da leggere, a parer mio, anche in apertura  in quanto spot-light sulla sua visione del mondo. Ma è anche, il titolo, la cifra  di un testo   in cui   la scrittura diventa via via un vero ‘’racconto museale’’ dipanato nello ‘’spazio espositivo’’ della pagina, per restare ancorati alla bellissima e significativa immagine  che tale titolo richiama, e intendendo con ‘’racconto museale’’ un vero e proprio cammino coinvolgente e interattivo,  dove   la parola   si fa concerto di voci en plein air che ricostruisce, protegge e conserva, quale testimonianza di noi a noi stessi e ai posteri, di un mondo altrimenti impossibile da comprendere, in una dimensione di speranza. Un Perilli dunque, si potrebbe dire, museografo e museologo, oltre che vero e grande poeta, nel senso più concreto e attuale dei termine, vista la solidità dell’ architettura narrativa dei suoi testi in generale e di questo in particolare.  Un museo  dell’uomo e per l’uomo allestito nel cuore, un dialogo tra Passato e  Presente, tra Storia e Memoria, tra Bene e Male, tra Natura ed Emozione, tra il ‘’sempre’’ di  Dio e la quotidianità dell’uomo, in poche parole la vita nella sua multidimensionalità e nelle sue opposizioni e contraddizioni, un museo  nel quale ci ritroviamo tutti, guardandoci come in uno specchio o in un diorama di vetro delicato e potente, con i nostri errori e fragilità e con quelle scintille divine che a volte, imperscrutabilmente e inaspettatamente  si manifestano nel nostro misterioso percorso umano. Così l’esperienza individuale dell’Autore diventa esperienza universale, e quella, momento individuale. Per questa reciprocità ognuno di noi è alla fine ‘’Adamo disteso’’, padre (e madre) che ci rinasce continuamente, siamo noi  Auschwitz, siamo il ponte che crolla, il carcere, l’eclissi  e il terremoto, le Torri Gemelle e  la pandemia, ma siamo anche  le staffette della Resistenza, l’isola-nave, Giordano Bruno e Kuska o  il pettirosso nella neve, gli amici, la poesia, e siamo noi  gli amanti, fortunatamente ancora ‘’ in volo’’, come li definiva l’Autore nella sua intensa silloge precedente (Gli amanti in volo, Pagine 2014),  dedicata appunto all’amore, amanti che sembrano ancora sfiorarci  nella quotidiana scoperta, l’uno dell’altro anche e soprattutto nelle difficoltà del vivere e nella sofferenza. Nel Museo dell’uomo di Plinio Perilli c’è perciò il mondo intero che si guarda, l’umanità  portata  alla luce  con lavoro di scavo archeologico, con amore e pietas e religiosamente resa sacra ed eterna  come un pane raffermo o  transustanziato.  Dice  infatti Perilli, ricordando con amore un’abitudine materna : ‘’…Non si getta la vita, ogni suo / grammo d’emozione, poesia che mastichiamo  alla dura radice del gusto / nel rito che è mistero. Corpo e carne di natura, eucarestia domestica…’’. Una poesia autentica, etica e luminosa anche nelle ombre,  sintesi  fra intelletto e sentimento, una poesia che dice di se stessa e a se stessa  ‘’Ogni poesia è - l’infinito, da quando inizi / a leggerla fino alla fine…E in mezzo c’è / la vita, le parole quando nude somigliano /a uno stato d’animo, a un pensiero magico…’’, sicché appare significativa la datazione  di questi versi  estrapolati da  ‘’L’infinito a pezzi’’: 7 giugno 1955-2019, versi
 in cui ‘’le parole nude’’ di Plinio Perilli sono quelle vere e  sincere di un poeta  coerente e coraggioso, in perfetta armonia  con la  sua dimensione umana, per i valori universali che con noi  tutti, da  sempre, condivide. ‘’Molto ha esperito l’uomo. / Molti celesti ha nominato / da quando siamo un colloquio / e possiamo ascoltarci l’un l’altro’’, scriveva Hölderlin e questo colloquio si rinnova, intenso e vibrante,  in ogni poesia del ‘’Museo dell’uomo’’.

Tiziana Marini

 

Da ''Museo dell'uomo'':

 

 

Adamo disteso

 

1-

Uomo non sono  eppure già lo sembro,

chiedo alla terra un corpo rivelato, fedele

alle stagioni, radicato alla pietra, ossa del mondo,

al bianco sasso da cui partiamo e torniamo…

Prego perciò la mano e il respiro di Dio

di scolpirmi forte dentro il cuore, soffiarmi

l’anima non come un augurio, ma dovere

semmai di far felice quel bene che m’impasto’

fango, mota di cielo – sangue che stilla luce…

2 -

Disteso. Dell’universo preda e gemma,

fiore di pietrisco… Oggi che tu artista

mi scolpisci – ne sogni vera l’immagine –

sappi che io nasco, pulso, rinasco ancora

come quel primo giorno, stupefatto al miracolo,

di fare specchio a un Dio per trasparenza

d’amore, rito e carne di tutto il creato!

Solo questa è l’immagine, questa la somiglianza

da faticare a non perdere, a non sciupare

o tradire con l’alibi delle preghiere…

3 -

Ora che d’oro poi rifulgo tutto!, mi vergogno,

lo giuro, del mio nudo corpo… Perché credo che

l’oro valga molto, ma molto meno della carne,

meno dell’anima… Quella sì, che la sento, la

vorrei d’oro: monile immenso di Dio che m’incorona

Uomo, re della Natura… Come a specchiarmi

fiero nei fiumi quaggiù  in Terra, nei laghi azzurri

freddissimi di cielo, nell’Eden in cui ora vivrò – e

non sarà per sempre… perderò l’oro e la gioia di Dio.

4 -

Forse io da sempre, disteso, attendo di nascermi:

uomo, corpo già grande come un eroe del Nulla,

atleta di ogni giorno:e troverò forza, materia,

proprio da questo fango, fino a mutarlo in oro…

Freme la coscia del sangue che presto m’avverrà,

come avvengono gli occhi, le mani che tuttora

confondono pugni e dita, e labbra che non parlano.

5 -

Adamo – Lui così adesso Lui sta chiamandomi!-

Adamo disteso, manichino svegliato – per miracolo

eterno proclamato Primo Uomo, divino e mortale.

Sto nascendo e già mi stanco a vivere, anche

a esserne felice… Che strana idea, che pazzo

lievitare!... Disteso accanto a tutto ciò che

mi manca, o meglio ancora, non sono… Un dolore

mi prende dentro – e quest’oro lo vorrei di carne:

una compagna, un altro specchio di me, Eva

distesa da amare, perché anche l’Eden ci fa

smarrire, ci culla soli, il cuore in gola, nudi di cielo…

6 -

Il cuore – ciò che nessuno scultore, soltanto Dio

sa plasmarci dentro – qui brilla e appare anche da

fuori, piccola luce, sorriso prima del volto, del Tempo

sacro che nemmeno i secoli possono accogliere,

o misurarne l’Uomo, Adamo me disteso – e Nulla ero

nel prima ma tutto era già stato, come parola

riassume il gesto, il pensiero, la carezza che un Padre

ama fare al figlio: ed io proprio da questa sono nato.

7 -

Tristezza non è divina, la sento, è virtù tutta mia:

farò d’essa il mio fiore, la casa o il tralcio

cui a sera appendere l’anima, prima di tornare

a letto, nudo disteso a fianco della vita: riverso,

spossato come dopo ogni atto d’amore… In furia

cerca sempre il cielo, s’inturgida fino alle stelle!

Il desiderio è un vangelo, palmizio di parabole…

 

Saprò amarla, la vita, creta da cui Lui – oggi –

Mi ha estratto, rivelato il cuore. C’è un Dio nell’uomo,

                      e Dio nasce in Adamo.

 

 

Adamo disteso è una splendida statua in oro di Giacomo Manzù (opera del

1972), 185x78 mm. “Questa piccola fusione in oro” – rileva Livia Velani

nella sua monografia su La Raccolta Manzù,  Ardea, 1994 “è ripresa dalla

posizione del corpo di Adamo nel prologo del film La Bibbia di John Huston,

che Manzù aveva con fatica ideato. Infatti, come mi raccontò durante un

nostro incontro, la difficile resa visiva della nascita di Adamo dalla creta,

doveva iniziare con l’immagine del sasso per poi evolversi nel corpo

umano”.

 

     
                          

 

Plinio Perilli (Roma, 1955) e' poeta, saggista e critico letterario.  Ha esordito nel 1982 con un poemetto pubblicato sulla rivista Alfabeta. La sua prima raccolta poetica è del 1989, “L'amore visto dall'alto'' cui fanno seguito i racconti ''Ragazze italiane'' nel 1990 e “Preghiere di un laico” nel 1994. Tra le altre sue opere, come critico e saggista, ricordiamo ''Storia dell'arte italiana in poesia del 1990” , “Melodie della Terra del 1998” e “Costruire lo sguardo”. Storia sinestetica del cinema in 40 grandi registi, 2009. E' del 2014 il romanzo in versi ''Gli amanti in volo ''.

''La rivoluzione degli eucalipti'' di Nina Maroccolo, Galleria d'Arte Moderna - Earth day 2021

 













''La rivoluzione degli eucalipti'' di  Nina Maroccolo, in mostra dal 14 maggio al 10 ottobre presso la Galleria d'Arte Moderna di Roma, per celebrare l'Earth Day 2021,  e' l'incontro dell'artista con la natura e le sue mutazioni, un incontro in cui l'eucalipto diventa il simbolo delle doti salvifiche della natura in un'ottica rivoluzionaria. L'esposizione si avvale di opere fotografiche e piccole installazioni in teche, veri e propri scrigni di tesori custoditi con amore,  mandala e oggetti ''del cuore'', tutti al servizio delle ''macerazioni'' e del ''principio dello scarto'' a sottolineare la bellezza e la forza della natura che trova in sè la capacita' di autorigenerarsi. Nel  bellissimo, prezioso catalogo, (Disvelare Edizioni, 2020) e' la Maroccolo stessa con le sue parole e le sue immagini ad accompagnarci nel viaggio sinestetico della mostra,  curata da Plinio Perilli. Con fotografie, poesie e  scritture di rara intensita', l'Autrice ci porta nel suo Mondo, un mondo delicato e potente al tempo stesso, dove trovano spazio e voce la bellezza, il dolore, la denuncia.
Scrivo in una testimonianza inserita  nel catalogo, fra le tante presenti : ''...Un lavoro originalissimo dunque, quello delle ''macerazioni'', non solo concreto, ma anche coraggioso, in cui la Maroccolo compie il rito di una vestale - alchimista o piu' semplicemente di una donna che percorre con stupore e  consapevolezza al tempo stesso, camminamenti intricati da foglie e cortecce, da radici e venature per estrarne, attraverso un processo di ''macerazione'', insieme alla linfa, il senso piu' profondo della vita... 

In questa ottica visitare la mostra  vuol dire  compiere un bellissimo viaggio, scoprire in ogni teca  tesori preziosissimi, gioielli dotati di anima e di quella magia che solo le forze piu' ancestrali possiedono, forze che ci  abbracciano, additandoci nuovi itinerari  di speranza e verita', nuovi obiettivi di salvezza, qui sulla Terra, per l'Uomo, la Natura, la Storia. La  Maroccolo afferma infatti: ''Gli eucalipti, e tutti gli altri alberi, vegliano su di noi. Ci sostengono fin dove possono. Ci ricordano di abbandonare cio' che credevamo di essere. ESSERE SOLTANTO CIO' CHE SI E'.

























Nina Maroccolo (Massa 1966) e' un'artista eclettica. La sua attivita'  spazia dal restauro all'intaglio e all'intarsio, dal canto al teatro, dalla prosa alla poesia, dalla pittura alla fotografia.  Dal 2004 vive e lavora a Roma.  Performer teatrale e studiosa della natura,  e' autrice di numerose pieces teatrali tra le quali ricordiamo Partitura per ferro e terra dedicata all’opera dello scultore Jaume Plensa,  Annelies Marie Frank (dal suo libro omonimo), Nastro – Omaggio a Giacomo Manzù cortometraggio per voci recitanti, E' protagonista del film d’arte La sesta vocale  per la regia di Iolanda La Carrubba, colonna sonora di Gianni Maroccolo: opera finalista al “Festival Internazionale del Cinema di Berlino 2013” nella rassegna Director Lounge DL9. Tra le sue pubblicazioni ricordiamo: Il carro di sonagli (City Lights Italia 1999), Annelies Marie Frank (Empirìa 2004), teatro, con una lettera di Alda Merini. Illacrimata (Tracce 2011), poemetti, prefazione di Paolo Lagazzi. Animamadre (Tracce 2012), romanzo, prefazione di Fabio Pierangeli. Malestremo – Sedici viaggi nell’Altrove (Tracce 2013), racconti, prefazione di Marco Palladini.

giovedì 30 settembre 2021

Fiori nel deserto di Atacama

 


Il Deserto di Atacama si e' miracolosamente ricoperto di fiori quest'anno... cosi' come  capita di tanto in tanto...Una fioritura straordinaria, rara... che tinge di rosa la terra arida in condizioni climatiche proibitive. Una fioritura che possiamo prendere come metafora della vita quando ci elargisce a sorpresa gioie inaspettate ... Il pensiero corre al bel libro di  Luis Sepulveda ''Le rose di Atacama'' (Guanda, 2000)...

venerdì 9 luglio 2021


 Nota di Tiziana Marini su   Cammina un poco con me di Paolo Carlucci.

A Pia e Paolo

                                                                                           

Colpiscono al cuore le poesie della plaquette Cammina un poco con me, che il poeta Paolo Carlucci ha dedicato alla madre Pia, ‘’Madre fiera e smarrita…’’, durante l’ospedalizzazione, che l’ha allontanata da casa in tempo di pandemia.

Colpisce l’avverbio ‘’poco’’, presente nel titolo, ma anche in molti testi di questa breve, ma intensa raccolta, percepito come unità di misura dello spazio/tempo di questo monologo, che in climax, assume il tono d’una preghiera, confessione, speranza e desiderio, inevitabilmente ridimensionato dagli eventi, di un possibile ritorno ad una quotidianità, che sembra, invece, fuggire via.

Scrive Carlucci   … io da poeta alla tua festa vengo: / in salute di versi m’accosto / a te, corda d’infinito, straziato / Amore; io che ora m’appoggio /alla tua vita solo un piccolo poco. e ancora: Dio non ascolta gemme chiuse alla luce. Colpisce la sincerità dei testi che nel loro insieme ben tratteggiano il carattere dei due protagonisti, eroi emblematici, loro malgrado, di questi tempi difficili, ma ancor più testimoniano la devozione e lo smarrimento del figlio unico, alla guida, tra mille difficoltà, della piccola nave-famiglia     Ora a stento ti seguo nell’impresa / cerco di proteggere e fare qualcosa / per te, sciolto coriandolo di memoria.

Poesie dunque di ‘’tempi malevoli e infetti’’, di solitudini da annullare con i gesti dell’amore …

il tuo vuoto riempio di carezze lontane… e poi in ascesa il verso   vorrei in ginocchio coprirti di baci, ma ancor più con le vecchie e irrinunciabili, semplici abitudini da riconquistare. A distanza la mia mano ti sarebbe faro / e il braccio ti darei per la camminata / che era nella giornata la tua attesa infinita: l’orologio del tuo attendere, io per te lancetta / di vita…  e infine di tempi di solitudine e incertezza ma, per fortuna, anche di abbracci ritrovati, sebbene nella consapevolezza che nulla potrà essere come prima in questo ‘’abisso scuro’’ dello spaesamento come nuova fragilità.

 ‘’Cammina un poco con me’’ è, in questo senso, il  “νόστος”, il periglioso viaggio del ritorno a casa per ritrovare, pur nel cambiamento, le piccole cose della quotidianità, quelle che danno equilibrio, forza e speranza, in un  percorso  costellato dalle insidie delle  ‘’nuove Sirene’’ quali virus,  mostri burocratici e tecnologici  e dure prove emotive.

Un “νόστος” nel duplice significato, omerico e joyciano, e quindi non solo distacco e ricongiungimento, ma anche discesa nelle profondità pelagiche del cuore e nella solitudine dell’isolamento dalla quale riemergere gradualmente, assaporando ogni piccolo dono di rinascita che viene concesso: la videochiamata, il primo incontro e il primo passo, l’abbraccio, il ritorno, ma non solo….

La plaquette è anche luce intensa del ricordo, un ricordo che Carlucci tiene acceso  per tenere vive identità e radici nel cuore della madre, ora che i ruoli si sono invertiti, ora che  tutto sembra sfumare.  Torna alla mente il bel libro di Tahar Ben Jelloun Mia madre, la mia bambina (Einaudi, 2007) in cui lo scrittore e poeta marocchino ricompone sotto forma di racconto i ricordi confusi della madre malata, come un dono d’amore nei suoi confronti.

E un dono d’amore sono infatti i versi in cui Carlucci racconta alla madre le sue origini venete.

E così ora il figlio unico di te / poeta, come un mago, fili / slacciando, riannoda vago cordame / il nostro tempo di ieri. / E per te slega macchie i ricordi / come onde del tuo fiume antico, / il tuo bel Piave vorticoso e grande, e il suo antico, quotidiano ruolo-guida in famiglia … 

Prosegue il poeta ricordando alla madre immenso cielo la casa, dove eri / regina e tuttofare. Leonessa che tremando ha lottato / e vissuto solo per il cucciolo che ha / svezzato piano alla vita. Da sottolineare, oltre alla profondità e alla bellezza del contenuto, urlo struggente a tratti delicatissimo, anche l’eleganza del verso tu mi sei all’infinito stella…, l’originalità della parola nel nuovo glossario della pandemia e della tecnologia …

Tutto per te farei se un poco / t’assomigliassi: amministratore, ma pratico disastro / io sono in questo tempo nuovo / insidioso, malato grave / di clicks e distanze…, oppure … Ed io di te mi faccio testimone / tra camici, guanti, mascherine / scopriamo nella protezione / la nostra invisibile fortezza

Son dunque questi gli elementi forti, autentici della poetica di Paolo Carlucci, che rendono i testi di questa silloge profondamente vibranti ed emotivamente coinvolgenti.

Riporto, in conclusione, una poesia che esemplifica l’intensità, i colori degli stati d’animo di Paolo.

 

 Vetta d’amore l’abbraccio


Madre, gancio estremo di vita,

è ora nello sguardo la parola

vetta d’amore l’abbraccio.

 

Reggia di segreti il cuore

nostro nella catastrofe

intima del tuo tramonto.

 

Tu che davvero sai, nella nebbia

chiarissimo il mio bene assoluto

racconto al tuo viso il mio andare

lento alla deriva…

 

Madre, è croce di pena il giorno,

l’insidia, il deserto dell’estate

ora mi soffoca rogo vuoto il mare

ruga di salsedine tra spese e mail:

l’età adulta e triste del figlio unico

amministratore imbranato di te,

perso tra contratti e sogni…

13 giugno 2021

 

                                                                                                  © Tiziana Marini             

mercoledì 23 giugno 2021

La poesia di Mark Strand

                                            Blue Moon (Ph Tiziana Marini)
 

I

Nella notte senza fine, nell’oscurità che ci impregna,
indosso un abito bianco che riluce
tra le foglie cadenti, nere, tra le

lune dei lampioni coperte di insetti.
Cammino tra alberi smeraldo
nella notte senza fine. Attraverso

la strada e scompaio dietro l’angolo.
Riluco nell’attraversare il parco verso
la stazione dove aspettano gli altri.

Fra poco percorreremo l’oscurità incommensurabile
e muta, dove fuochi ci guidano sul terreno amaro
della notte senza fine. Indosso

un abito che fa impallidire la luna, che è puro
splendore quando arrivo alla stazione dove gli altri
sussurrano, dicono che la luna

non è un ostacolo superiore ad altri,
che, se qualcuno soffrisse, si potrebbero ottenere ali
in cambio di una canzone o di braccia, che le norme

della terra valgono ancora per chi è in partenza,
che è assai meglio esser pronti, perché la cenere del corpo
non vale nulla e più in là di tanto non arriva.

*

II

Ti scrivo da un posto dove non sei mai stata,
dove i treni non passano, gli aerei
non atterrano, un luogo a occidente,

dove spesse siepi di neve circondano ogni casa,
dove il vento ulula al volto vuoto della luna,
dove la gente è semplice, e le mode,

quando arrivano, arrivano tardi e sono viste
come forme di oppressione, fonti di scontento.
Questo è un posto che un po’ si accende alle 7 la sera,

poi si spegne, e scivola nella camera ardente
delle stelle, e tutti sognano di librarsi
come angeli in vesti fragranti,

di venire sollevati dalle varie incombenze
e godere dei piaceri a disposizione di chi li chiede –
giorni come pagine strappate a un album di famiglia,

rimpatriate senza fine, il coro celestiale intorno alla grigliata
che si modula al tono dell’occasione,
e tutti che guardano fisso, attoniti d’immenso.

Mark Strand

Mark Strand, “Tutte le poesie”, Mondadori 2019, a cura di Damiano Abeni e Moira Egan






Mark Strand (1934-2014 ), nato a Summerside, nella Prince Edward Island (Canada), e' stato uno tra i piu' importanti poeti  statunitensi. Insegnante  di Inglese e letterature comparate alla Columbia University, visse a New York.  Tra le sue opere ricordiamo Uomo e cammello e  L'uomo che camminava un passo davanti al buio.  Ha ricevuto numerosi premi tra cui il Pulitzer per la raccolta di poesie Blizzard of One. In Italia, oltre a tre plaquette per le Edizioni  L'Obliquo sono uscite due antologie delle sue poesie (L'inizio di una sedia, Donzelli 1999; Il futuro non è più quello di una volta, Minimum fax 2006), un volume di scritti d'arte (Edward Hopper - Un poeta legge un pittore, Donzelli 2003) e la favola Il pianeta delle cose perdute (Beisler 2002).