lunedì 6 maggio 2024

 




‘’Siamo fatte di carta’’ di Anna Maria Scocozza e Floriana Porta

 

‘’Siamo fatte di carta. Arte, poesia e rinascita al femminile’’ di Anna Maria Scocozza e Floriana Porta (Edizioni Ventura – 2024) è un libro che potremo definire ‘’multisensoriale’’ dal momento che coinvolge a vari livelli, l’emotività espressa dai nostri cinque sensi, attraverso  profondi legami fra l’arte visiva e materica di Anna Maria Scocozza  e la poesia giapponese nella forma sintetica degli haiku e baishù di Floriana Porta. In particolare, l’arte visiva  si esprime e si concretizza negli indumenti, accessori e monili femminili, creati da Anna Maria Scocozza con il riutilizzo di materiali vegetali, in primis carta riciclata da libri e giornali quotidiani, erba e cortecce, materiali che danno vita a elementi profondamente simbolici, come lo è del resto tutto il percorso narrativo dell’opera, già intuibile dal titolo,  mentre invece  la poesia si esprime, come dicevo,  nella forma degli haiku e  baishù di Floriana Porta   che accompagnano  le immagini, e che, nella ‘’topografia’’  del testo, cadono con grazia  sulla pagina, come fiori su un campo primaverile a impreziosire  i ‘’tessuti’’ di quegli indumenti,  spiegandone la trama e il sentimento implicito. Un libro d’arte visiva e poesia, una danza fra anima e corpo che vicendevolmente si compenetrano,  per la condivisione di un progetto di rinascita che il riutilizzo dei materiali suddetti,  sottolinea. Ma andiamo con ordine. Che cos’è la carta se non  un materiale che ha molte vite e può assumere varie forme, un materiale plasmabile,  leggero e al contempo robusto che conserva le tracce di ciò che vi è stato impresso con la scrittura e ne conserva  la memoria,  ‘’povero’’, semplice  ma al contempo denso di valenze significative? L’artista  che lo usa nella sua forma riciclata per creare o meglio  ri-creare indumenti, accessori, monili femminili, lo fa di certo per un’idea di rinascita e di rinnovamento  ma anche per significanze più sottili e ramificate, quali ad esempio l’idea  di guarigione, laddove il filo d’oro usato per le cuciture/suture, rammendi o abbellimenti, diventa protagonista, segnando ed evidenziando  l’originaria ferita  e  intendendo quel dolore  come momento di guarigione, di rinnovamento e nuova consapevolezza, così come vuole l’arte giapponese del kintsugi. Parallelamente,  in un’unione simbiotica e sinergica, entra in campo  la poesia a dare voce  ai sentimenti, in un’estrema  e delicata sintesi e così facendo,  la parola diventa anch’essa indumento che veste l’anima e al contempo la denuda. In  quest’ottica il libro non ha soltanto una valenza evocativa e  psicologica,  ma  è anche e soprattutto  una narrazione filosofica, esistenziale e sociale per l’alto valore simbolico, storico ed antropologico  degli elementi che lo compongono,  tra rinnovamento e tradizione, ricordo e speranza. E’ un libro che educa e sensibilizza, dunque, alla consapevolezza, ai sentimenti, alla riflessione, alla bellezza in una veste ecologica che valorizza ‘’lo scarto’’, con delicatezza ed eleganza,  un libro  prezioso e quasi ‘’tattile’’, tanta è la concretezza dei materiali e delle parole che lo compongono, un libro che veicola messaggi potenti di fragilità e forza dell’universo femminile e,  non dimentichiamolo, fondato sull’amicizia e la collaborazione delle due Autrici. Si susseguono così nella trama della narrazione ‘’lingerie e scarpe poetiche’’ , ‘’libri alterati’’, ‘’accessori poetici’’, ‘’maschere ’’ in cui  ‘’ la carta è il più vasto degli universi’’, un universo nel quale ‘’Ho imparato a rifiorire, a ricominciare da capo…’’,  in cui ‘’la poesia  parla in molte lingue - dentro c’è Dio’’ e la natura diventa così religione dell’anima.

Tiziana Marini

 







“L’inclinazione di una foglia alla luce”, di Tiziana Marini, letto da Chiara Mutti

 

La percezione di esistere ancora per poco, eppure d’esserci, breve battito di ciglia, lasciando testimonianza del proprio passaggio nel divenire eterno della vita: «E il vuoto che lasciamo/è il vuoto di un bosco arso/ che rinasce a sorpresa/ per una radice salva/ per un seme casuale…».Tutto il significato di questa splendida raccolta poetica (“L’inclinazione di una foglia alla luce”, Ensemble Edizioni, 2023, pp. 90, Euro 13) è già in qualche modo anticipato nella poesia di apertura, dove appunto si osserva l’inclinazione di una foglia alla luce, cioè il filo che ci tiene legati alla vita: il leitmotiv stesso del libro. Tiziana Marini sa come condurci lungo quel filo, secondo sapienziale abilità evocativa di affetti e di aneddoti che sono profondamente suoi, ma che sono al contempo di tutti.

La scrittura di Tiziana sembra qui votata alle perdite, e d’altra parte la dedica alla cara amica e artista Nina Maroccolo, venuta(ci)a mancare purtroppo di recente, sembra già declinarne l’intento. Accade così che il tempo diventi una coperta troppo corta e non basti più a coprirci –se copriamo la testa si scoprono i piedi, e viceversa – quando dobbiamo fare i conti con il fatto che la vita rimasta a nostra disposizione si accorciaun po’ di più ad ogni istante, e che il vero rischio è quello dinon saperla spendere interamente.Allora nasce e cresce in noi l’urgenza di dare un nome reale e preciso agli eventi e alle cose che ci sono intorno, di ri-conoscerli, tirando le somme alla nostra vita:«si va verso un punto/verso il bene e il male/ che abbiamo vissuto. / Dicono sia la resa dei conti». E questa urgenza di comprendere ciò che è stato diventa un invito a liberarcene, a lasciare «che tutto esca/ da noi», a consentire che fluisca, che venga inghiottito dal mare. È un invito al vuoto che continua nelle liriche successive: «di vuoto in vuoto /si procede»Sono queste le occasioni che, come suggerisce l’autrice,dobbiamocogliere se sappiamo fermarci ad ascoltare: riuscire a vedere l’invisibile lì dove la vita, a un certo punto,giunge alla resa dei conti. Allora la risposta nasce dall’osservazione della natura e dal gioco degli eterni opposti:la parola dal silenzio, la luce da un cono d’ombra.

 

Le ombre ci mostrano allora un’altra vita

quella dimenticata e persa

quella che avrebbe dato altri frutti

a viverla.

 

Voce è data alla natura tutta, in questo libro: il «ramo di ciliegio affossato»,dei bellissimi versi di “Dunkerque”, eil vento, la nebbia, la neve, le nuvole –coltri con le quali possiamo coprirci– eil mare, le stelle,«una supernova che collassa sul letto/la sua lenta fine» e, soprattutto,le foglie che trasmutano in simbolo: foglie uccello, foglie mani,foglie gesto («lo stesso frullo del gestodi scrivere l’aria»), parole che nascono dall’atto di scrivere.Foglie abbandonate al vento,che si accalcano lì dove il cono d’ombra le attrae; che c’insegnano l’arte di “lasciare andare”. Così,alla fine,perfino l’atto del morire diventa accoglimento del proprio destino,ma nella consapevolezza che il cielo accoglie e non ha fine, che le stagioni tornano e ritornano ogni anno, sempre.

Nella poesia di Tiziana Marini si assiste a questo perenne fluire del tempo e a questo continuo trasmutare di entità materiche in entità metaforiche, e di finitudine in nuovi inizi, in un movimento perpetuo e circolare che è ciclo delle stagioni ma anche principio filosofico della stessa vita umana.

 

Vanno nell’aria come onde di luce le cose

tutto va appena nato

ma qualcosa poi ritorna.

 

In particolare questo concetto di rinascita incessante, o vaticinio di ritorno, diventa evidente nella seconda parte del libro: non c’è forse un po’ della stagione che sta per arrivare, in quella appena trascorsa? La primavera è già tutta in quel minuto di luce in più aggiunta al giorno,sin da fine dicembre…“impensabile talea” fiorita nel cuore dell’inverno; ed è insitonella sensibilità del fotografo e del poeta saper cogliere queste luci,così come afferrare l’attimo, trattenendolo per sempre.Tiziana è l’uno e l’altro, sa che il piccolo riproduce in nuce il grande e già contiene il tutto eche, al contempo,l’esistenza non è mai ferma e si sposta incessantemente in avanti. Conosce il significato recondito che risiede in ogni incontro, umano o non umano che sia, e coltiva con amore e speranza la certezza che ogni tassello della nostra vita troverà alfine la sua giusta collocazione.Sa che ogni attimo vissuto resta profondamente inciso nella nostra memoria.Richiamare alla memoria questi momenti preziosi è compito del poeta, così come svelarne i significati più reconditi, gettare luce lì dove l’ombra ne custodisce il segreto, svelandolo così al mondo.La parola di Tiziana si muove sicura:«resto con la penna-aratro / aggiustando le cose /in un epilogo misterioso…»

La parte finale, struggente e dolcissima, è dedicata alla perdita dell’amato micio Fusino esi apre con la dedica:Abbi cura di me (a Fusino).Questa esortazione riesce a rendere in modo diretto e semplicissimo quanto può essere unico ed esclusivo il nostro rapporto congli animali,e quanto può risultare desolante e dolorosa la loro assenza. Anche in questo caso Tiziana riesce a cogliere e ad utilizzare le parole-simbolo necessarie per significare il senso di perdita ea cogliere i sottilissimi segnali della continuità della presenza attraverso il ricordo:

 

Da lì torni ogni tanto

mordi il mio cuore e ti allontani.

Da lì ogni tanto torni a costruire

minuscole memorie.

 

Un libro di alta e intensa poesia, in cui mi sono specchiata, persa, ritrovata e commossa, e che segna, a mio avviso –pur avendo apprezzato molto le quattro precedenti pubblicazioni poetiche di Tiziana Marini, già riuscitissime – il raggiungimento di una sua piena maturità poetica.


Dal blog ''Del cielo stellato'' di Edilet Edizioni:

https://ediletteraria.wordpress.com/2024/04/22/linclinazione-di-una-foglia-alla-luce-di-tiziana-marini-letto-da-chiara-mutti/


 

Chiara Mutti