I testi lirici, introdotti dalla
prefazione di Lia Bronzi che sottolinea quanto ‘’la plaquette qui presente
valga un intero poema’’ , sono dedicati
al compagno di vita prematuramente scomparso, e, scandendo i momenti e i
pensieri più dolorosi di quel percorso di sofferenza, ne costituiscono un
calendario emotivo.
Come dice il critico letterario statunitense Jonathan Culler, commentando il suo libro ‘’Theory of the lyric’’ ‘’la memoria e il ricordo sono certamente
importanti nella lirica e forniscono la struttura fondamentale per molte poesie
della tradizione…’’ ma egli ritiene che
l’attenzione debba concentrarsi essenzialmente sul presente lirico non
temporale in cui il ricordo viene evocato, valutato e ripetuto. Per Culler dunque è l’atto stesso del ricordo, il frammento di
memoria riattivato nel presente ad essere importante e meritevole di attenzione
critica e in questa plaquette della poetessa Elisabetta Biondi della Sdriscia, dal significativo titolo ‘’A latitudine
incerta’’, di frammenti di memoria così riattivati
e portati alla luce ce ne sono infiniti , trattandosi di un libro di continua
ri-evocazione che parla al presente di un passato recente, contenuto e trattenuto
nel cuore da una poesia per davvero
lirica, legata alla tradizione classica eppure personalissima e moderna, fortemente ispirata e con in
più una forte componente estetica che
mira a creare bellezza, eleganza e armonia attraverso il linguaggio e il continuo flusso musicale.
La plaquette si apre con versi di luce trasparente, quasi
lunare, fissata sui tratti della persona amata: ‘’Pallide le tue labbra/e la luce della luna:/la felicità è un
istante/strappato alla vita…c’eri solo tu, c’ero solo io/nell’eterno futuro del
passato/nell’eterno presente della mente’’, versi che sono dono e scavo al
tempo stesso, dono alla memoria e scavo
incessante e struggente che porta alla luce un dolore
mai fine a se stesso in quanto punto di partenza di quel viaggio misterioso che
ci accomuna, vissuto profondamente nella duplice dimensione personale e universale.
Così il titolo, bellissimo,
indica un posto vago e imprecisato dove l’amato compagno continua a vivere, un luogo
che nessuno sa dove sia e se davvero ci sia, oltre la vita, ma percepito come
certo perché, pur nella vaghezza delle sue
coordinate, se ne avverte l’esistenza proprio nel perdurare dei segni e
delle emozioni, come in un dialogo che continui, come in un contatto di
particelle dall’afflato quasi quantistico, che ci fa dire ‘’ci sei stato, ci
sei e ci sarai per sempre’’. Un tempo
terreno che sconfina dunque nell’eternità e che ci riporta poi alle ore della
veglia, al sentire che il tempo si sta assottigliando, al non
riconoscersi, con l’amara e lucida considerazione
di un io-noi che trova in una gabbia la
forma più prossima e verosimile alla condizione umana, una gabbia da cui
guardare, tra due sbarre, solo una piccola parte d’infinito: ‘’La fluidità dell’acqua ci è negata./ Lei si
dispone docile…/A noi è concessa la forma della gabbia,/lo sguardo confinato
tra due sbarre/e una porzione esigua d’infinito’’, e la considerazione che
anche il ricordo alla fine non sia sufficiente. Scrive infatti Elisabetta: ‘’…Un deserto di sillabe/a latitudine
incerta/per raggiungerti/non basta ricordare’’. Ma è anche il tempo della
speranza: ‘’…ma se c’è un
luogo/allora/attendi/là./Io arriverò’’, in quel luogo del dopo, a
latitudine incerta con la convinzione
che morte e vita in fondo siano solo ‘’trasmutazione
infinita’’, trasformazione in ali e
voce, un trascorrere di stagioni, un
segreto arcano che un giorno si dissolverà: ‘’…Morire è un altro esistere,/sotto diversa forma:/restituiti al tutto,
/un giorno noi sapremo/ciò che oggi ci appare/come un segreto osceno…’’, speranza
che si rafforza anche nella continuità rappresentata da un camposanto depositario degli affetti più cari e nel ‘’…Mistero della croce: il dono della
sofferenza condivisa…’’.
In conclusione, ‘’A latitudine incerta e’ complessivamente un canto d’amore e un insieme di preghiere laiche di alta
spiritualità, scandite da un tempo
tragico e ineluttabile, al quale l’amore,
e solo l’amore, concede la speranza di
una non-fine, il fil rouge possibile, il legame tra la vita e la morte, ben oltre un destino
preordinato e nichilista per poter invece
formulare, almeno con il cuore e con la poesia, la promessa di ritrovarsi un giorno in quel luogo ormai certo, sebbene ancora ad una
latitudine sconosciuta.
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