venerdì 10 maggio 2019

‘’Il sole forse’’ di Daniela Basti (LietoColle, 2013)





           


 ‘’Il sole forse’’ di Daniela Basti e’ una silloge di grande valore poetico,  umano e sociale in quanto ‘’voce’’ non dal ‘’dal carcere’’ ma ‘’del carcere’’, voce in prima persona della poetessa,  dei detenuti e di una  realta’ drammatica, con   un titolo che non assicura certezze, com’e’ giusto che sia, ma sicuramente apre possibilita’ e nuovi orizzonti, piu’ o meno vicini. L’opera ci racconta con poesie di grande impatto emotivo, dure e delicate al tempo stesso, di grande sintesi e coraggiose, l’esperienza dell’autrice, chiamata a stabilire, attraverso la scrittura e l’ascolto, un rapporto con i detenuti,  di arricchimento umano che si rivelera’ reciproco per scambio ed identificazione. Un’esperienza, si puo’ dire, che lascera’ il segno in tutti i protagonisti. In questa silloge, piu’ dello spazio chiuso, ristretto, ridotto al minimo della vivibilita’,  e’ importante la dimensione temporale.  Infatti il  tempo, fermo, statico stagnante dell’inizio, come quello segnato da un orologio scarico, riprende gradualmente a scorrere, va verso un probabile, intuito futuro, verso una  seppur sofferta e flebile  progettualita’ o comunque un’accettazione di se’. Ma non si va  solo verso un possibile  futuro perche’  il tempo  riprende a scorrere anche al passato ossia da dove si era interrotto nell’attimo preciso della colpa. Forse inizia una consapevolezza di se’ , un’elaborazione dell’errore, un recupero. Tutto cio’ attraverso un linguaggio / specchio, che va  dall’essenzialita’ iniziale  di uno sguardo tutto volto all’esterno, come a recuperare  dimensioni non claustrofobiche, dimensioni di liberta’ (perche’ questo e’ quello che conta), fino ad un linguaggio volto all’interno, verso dimensioni dell’anima, un’anima che si riappropria o cerca di riappropriarsi della liberta’ interiore, con tutti i rischi e fallimenti del caso, forse l’unica  davvero importante,  un linguaggio dunque che affiancando e ripercorrendo processi di pensiero  ben piu’ articolati, diventa esso stesso piu’ complesso.
La bella prefazione di Giovanna Stefancich sottolinea come la drammaticita’ del contenuto nasconda comunque un profondo messaggio di speranza che, come precedentemente sottolineato, si rivela anche nel titolo.


La silloge e’composta da 5 sezioni i cui nomi sono haiku: Sono civetta… Pini di mare… Brandelli vivi… La luna e’ piena… E lancio a sera… e si apre con la poesia corale in esergo che recita ‘’Noi siamo meno di un soffio di vento…’’ una poesia nella quale e’ il ‘’popolo del carcere’’ a parlare. Ma in questo coro ognuno puo’ ritrovare la sua voce, il ‘’popolo dentro’’ e ‘’il popolo fuori’’ non sono altro che due facce della stessa umanita’, contrapposta e fusa.
La prima sezione si apre con la poesia che racconta l’arrivo a Rebibbia di Daniela, in uno spazio e in  un tempo rarefatti, praticamente  inesistenti eppure imprescindibili e fortissimi.   L’Autrice in questi primi versi  rivive e ci fa vivere  il primo sguardo e lo stato d’animo che la accompagnano in questa sua missione con pennellate essenziali che ci descrivono uno scenario tra luogo concreto  e luogo dell’anima, in cui varcare la soglia  vuol dire  entrare nella vaghezza di un’atmosfera fatta di silenzio, poche cose, ferme, immutabili, come fossero li’ da sempre.
Nelle seconda sezione il paesaggio esterno del carcere  si contrappone a quello interno dell’anima. Il rumore dei cortili, lo scorrere indifferente ed inesorabile  del fiume Tevere da una parte  e il silenzio dei corridoi e delle celle che diventano spazio sacro, con gli oggetti che portano i segni dell’abbandono e dove aleggiano i fantasmi del passato, dall’altro. Il tempo del carcere non e’ segnato dall’orologio, ma dal passare delle stagioni, e questo vale non solo  per i detenuti ma anche per i secondini. Nella poesia ‘’Quando attraverso il grigio corridoio…’’ la poetessa descrive il timore che la pervade quando pensa di  violare quelle ombre, quelle sofferenze e quelle  solitudini.
Nella terza sezione la poetessa ci presenta i detenuti. Il primo e’ colui che  dopo le prime resistenze, esitazioni, paure, inizia ad aprirsi, ma il suo improvviso ricovero all’ospedale psichiatrico non permettera’ che il percorso continui. Per tutti il carcere e’ un utero protettivo, la vera solitudine e’ fuori. C’e’ poi chi ha voglia di aprirsi e desidera un’altra vita chi fara’ di tutto per ritornare in carcere una volta uscito,  chi si rende libero con la musica, chi inizia a scrivere di se’, chi ripensa agli affetti e alle cose lasciate. Anche un agente di custodia ha voglia di raccontarsi.
Nella quarta sezione parlano i detenuti. E’ una sezione onirica dove si alternano visioni di liberta’, cieli e spazi infiniti, desideri e sogni per sopravvivere.
Nella quinta sezione i detenuti si raccontano, si confessano e il linguaggio, diventato piu’ complesso, sembra riflettere i meccanismi del pensiero di chi si offre con piu’ chiarezza e indulgenza alla vita.  Sono dialoghi  tra se stessi e il mondo, un’ autoanalisi per meglio comprendersi, attraversata talvolta da  autolesionismo, perfino anoressia per fingere il controllo sulla propria vita, quasi a cercare nel sangue la prova del vivere. E infine la capacita’ di resistere, perfino la voglia di giocare spensieratamente a pallone, propositi,  paure e l’ultimo   ricordo da cui forse ricominciare.
Per concludere, dunque  ‘’Il sole forse’’ e’ un testo necessario che fa riflettere e che  colpisce dritto al cuore e coinvolge il lettore per la passione e la pietas con cui e’ stato scritto, a dimostrazione che la poesia puo’ essere ovunque anche laddove non penseremmo di trovarla, in quei luoghi ‘’dimenticati’’ e ‘’abbandonati’’ dei quali, sicuramente il carcere e’ l’emblema.

Tiziana Marini



''Eri cosi' fragile, spaurito,
bonaccia carica di intima tempesta.
Con voce gentile
narravi visioni pure.

Io sentivo la ricchezza e il dolore
di un pensiero oltre spazio e tempo,
vetro soffiato in bilico
tra senso e non senso.
Volevi e non volevi uscire.
Il fuori era la bocca dell'inferno,
nessuno ad aspettarti, a offrirti protezione.
Ti sei rinchiuso in cella,
in un ventre freddo, per te materno.
Io lo conservo ancora il tuo quaderno.
Daniela Basti (Da ''Il sole forse'' - LietoColle 2013)


                                                                                  (Foto di Tiziana Marini)





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