(phTiziana Marini Copyright © 2019)
Leonardo da Vinci, nel suo Trattato della pittura, ci dice
che ogni forma e ogni corpo sono
plasmati nel gioco dell’ombra e della luce e l’ombra è nella natura delle cose
universali. Questo gioco dell’ombra e della luce colora e si ritrova tutto in
questa silloge di Tiziana Marini, un’opera profondamente lirica, simbolica e
metaforica, che ci indica come e quanto ogni sfumatura di ombra si integri con
ogni sfumatura di luce. Le sue poesie sono una rivisitazione del cammino, del
percorso della vita, immagini, flash, che si dipanano come fili di luce dalle
anse, dalla penombra dell’intreccio dei ricordi. Dall’ombra e dalla penombra
c’è la possibilità di cogliere meglio, di definire i contorni, le
sfaccettature, le tracce di luce, di scovare, di ritrovare anche i raggi più
esili, le orme più lievi e di ri-costruire le assenze sempre presenti nella
nostra anima e che continueranno sempre a illuminarci, a colorare della loro
luce il nostro cammino con la nostalgia
di ciò che non potrà più tornare e la dimensione dell’accettazione. Le metafore
delle foglie, degli alberi, degli eventi naturali, si dispiegano in un
andirivieni di immagini nelle quali l’osservazione della natura, né benigna né
matrigna, rasserena tutte le inevitabilità esistenziali degli uomini. Tutte le
poesie, di un impalpabile spessore, mostrano, in una dimensione anche
leopardiana, il nostro più o meno affannoso impegno nel legare i fili più o
meno sottili di luce e dalla nostra penombra, accarezzarli, cullarli,
custodirli, con disperante speranza.
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