giovedì 31 luglio 2025

''Taming time'' di Monica Martinelli (Gradiva Publications, 2025)

 

‘’Taming time’’ di Monica Martinelli (Gradiva Publications, 2025), trattenere il tempo con la forza della poesia.

(nota di lettura di Tiziana Marini)

 

 


 

‘’Taming time’’, ‘’Trattenere il tempo’’, è  la nuova pubblicazione di poesie di Monica Martinelli, una  plaquette bilingue, italiano-inglese, (Gradiva Publications, 2025) nella quale l’Autrice raccoglie testi editi e inediti.

Divisa in due sezioni, La necessità del ritardo e Madre, è dedicata all’amata madre mancata in tempi recenti, esce a una decina di anni dalla precedente raccolta ‘’L’abitudine degli occhi’’ (Passigli, 2015).  La prefazione, intensa e dettagliata, curata  da   Plinio Perilli e tradotta in lingua inglese da Irene Sabetta, ci introduce sapientemente  ai testi poetici  a loro volta tradotti   da Kathrine Fidorra, Damiano Abeni, Moira Egan. Significative  le considerazioni sul tempo, visto come estasi, disperazione e vita,  di Emily Dickinson e Elly Michter, riportate in apertura.

Frutto maturo della poetica dell’Autrice, la breve e intensa raccolta indaga e si confronta dunque con il Tempo,  elemento perturbante, noto ed ignoto, nella sua dimensione soggettiva, perseguendo comunque  sempre l’oggettività e l’universalità della visione, elemento   che connota da sempre la vera poesia. Scrive Martinelli a proposito del Tempo: ‘’…Allungalo più che puoi, aiutati a comprenderlo/e a comprendere gli errori,/quelli che andando avanti con l’età/non potrai più commettere,/così neanche sbagliare avrà una correzione/e l’unica possibilità è trattenere…’’ .

 

In questa chiave si entra nel vivo della lettura e  si realizza  che il titolo della raccolta si lega  strettamente al titolo della prima sezione. Si tratta di trattenere, ritardare, allungare il tempo il più possibile,  vista l’impossibilità di fermarlo,  e di abituarsi all’idea della transitorietà e dell’impermanenza. Infatti basta un niente  per perdere tutto. Perfino, per ironico paradosso, il nostro passato e la nostra identità sono provvisori, se possono essere  cancellati per sempre dallo smarrimento di una chiavetta portatile, custode di tutti i dati della nostra vita, perché alla fine noi siamo nelle cose, ci  lasciamo il segno, in una chiavetta così come un chiodo lo lascia  sulla parete. Scrive a questo proposito Martinelli: ‘’Perdere per poi ritrovare/è qualcosa che porta il corpo a tremare e a spostarsi./ La paura fa miracoli quasi come la gioia’’. E ancora: ‘’ I buchi sui muri non si cancellano/rimangono impresse le forme dei chiodi/…Memorie prendon vita se potessero/raccontare storie familiari…’’ L’unica cosa davvero importante è perciò ‘’…stare in piedi nel moto perpetuo del transito’’ da un lato abituandosi,  ’abituarsi all’addio…’’ dice Martinelli,   e dall’altro mettendo in campo atteggiamenti mentali che lo rallentino quali ad esempio ’’il ritardo’’ che ne permette l’osservazione.

Dunque alla ‘’abitudine’’ tanto cara all’Autrice,   titolo e  tema  della sua precedente raccolta, ‘’L’abitudine degli occhi’’ (Passigli, 2015) e topos della sua scrittura, intesa come ritualità salvifica e medicina della quotidianità, si deve affiancare  la ricerca di un equilibrio tra ciò che fugge e ciò che resta attraverso lo sguardo giusto, quello del dubbio e della riflessione. Ed è proprio il ritardo ad aggiungere extratempo al nostro tempo, quello dell’attesa, aldilà dell’apparente fretta per recuperarlo.

 Ma Martinelli non vuole solo allungare il tempo, vuole anche e soprattutto   ‘’custodirlo’’, ritrovarlo,  avendone  compresa la preziosità:  custodirne amorevolmente  ogni  più piccolo frammento cosicchè,  fissato nel ricordo, possa costruire poi un ponte verso il futuro,    in modo tale da diventare  vita intera, non sprecata. Certo non è facile come dicono questi suoi versi: ‘’Tracce di ricordi nella memoria…/Ma sono labili e opachi,/non ne distinguo i margini/e mi confondo nel passato,/ostacolo a diventare qualcosa che si evolve,/qualcosa di bello e fragile che vola’’, eppure è  un tentativo imprescindibile.

Un tempo assaporato lentamente,  come un dolce boccone, con religiosa nostalgia e malinconica consapevolezza, sottratto alla velocità, alla dimenticanza, alla provvisorietà, un tempo condiviso del quale tuttavia si avverte la mancanza: ‘’Questo mi è mancato/la complicità di un volo/ d’uccelli sincronizzato…’’, per scoprire poi    che l’unico attimo in cui il tempo davvero si ferma, è quello della perdita di una persona cara, quando  diventa spaziotempo, luce e buio, suono e silenzio, terra e cielo, passato e presente, presenza e assenza al contempo.

Ecco dunque la seconda sezione del libro  con le poesie dedicate alla madre, tra le più vibranti dell’intera raccolta: ‘’ Il giorno che ho perso te ho perso tutto/quel giorno, mi sono persa nel dolore…La gioia non è gioia senza la tua luce’’ e ancora:’’…In quest’onda di luce veloce/s’intrecciano spazio e tempo…’’.  Ma  questo spaziotempo è anche quello creato dalla poesia , è lo spazio creato dalla parola che tutto fissa e rende eterno, un luogo concreto e per certi versi comune del sentire, dove la bellezza, sempre nascosta, e il dolore, al contrario sempre evidente, trovano il loro spazio più giusto.

Poesia moderna,  coerente e filosofica, razionale anche nelle tempeste emotive,  è dunque quella di Martinelli che qui rivolge a se stessa e a tutti noi,  un saggio e concreto  invito e lo fa con la sua personale e originalissima cifra poetica perchè come dice Perilli’’…Raramente nella poesia contemporanea si allineano e convergono così a puntino dolcezza e fermezza, raziocinio  e afflato…’’. La sua poesia ci offre, in sintesi,  oltre alla bellezza dei versi, anche  vere e proprie  soluzioni, ''tecniche di sopravvivenza’’ per arginare in qualche modo la sofferenza che la vita porta con sé inevitabilmente,  nel tentativo di ridurne, per quanto possibile, l’impatto sulla quotidianità e sulla qualità della nostra vita. Per concludere,  la poesia di Martinelli  è lo spaziotempo a cui approdare, mentre il ritardo così come l’abitudine  sono escamotages per uscire  quasi indenni dall’esperienza del vivere. Con uno stile efficace, semplice nell'accezione più bella della parola, diretto e versi lapidari, dunque,  ci suggerisce soluzioni possibili e strabilianti di cui fare tesoro per trasformare, centellinandolo,  il nemico tempo in tempo amico,  prezioso e produttivo al fine di arginare e lenire il dolore.

Tiziana Marini

 



Monica Martinelli, poetessa e scrittrice, è nata e lavora a Roma dove ha conseguito la laurea in Lettere. E’ autrice di quattro sillogi poetiche con le prestigiose  prefazioni di Walter Mauro, Plinio Perilli e Davide Rondoni. Redattrice presso varie riviste letterarie,  i suoi testi, tradotti in inglese, francese e serbo,  sono presenti in vari siti, blog, antologie e riviste di letteratura.

 

lunedì 16 giugno 2025

''Il flauto di Pan unito al vento (Macabor, 2025) di Andrea Mariotti

 


 La ‘’nettezza’’  e il ‘’verso  schietto’’ nelle nuove poesie di Andrea Mariotti.

Nota di lettura di Tiziana Marini per  ‘’Il  flauto di Pan unito al vento’’ (Macabor, 2025)

La nuova silloge poetica di Andrea Mariotti dal titolo ‘’Il flauto di Pan unito al vento’’ (Macabor, 2025), è un esempio di novità e continuità nella poetica dell’Autore, continuità per il rigore stilistico ed etico che la contraddistingue, come recita il distico ‘‘E’ l’unica vittoria concepibile/ quella su se stessi. Dura e intangibile’’, e novità in quanto  la   dimensione naturalistica, sempre presente nella poetica dell’Autore, qui ha le sembianze  di una natura stravolta, ribelle e in qualche modo  ostile all’uomo e alle sue vicende, come si evince per esempio  nei versi ‘’Manicheismo del rovente clima/ha stravolto quest’anno un mese amico/facendoci piombare in tardo autunno/da un giorno all’altro con brutalità…’’. Di certo però la novità più grande è che la Storia e l’Uomo,  da sempre valori centrali per l’Autore, qui vengono raccontati alla nitida luce  della più ferrea  ‘’indignatio’’, lo sdegno provocato da una società colpevole che ci riporta alle Satire di Giovenale, una qualità che dà  un senso sempre più liberatorio alla scrittura poetica di Mariotti,  dedicata  nel suo complesso  ai ‘’cari poeti’’, Dante, Manzoni, Leopardi, Caproni,  alla vena civile della loro scrittura, e all’uomo del presente, il fortunato lettore.

Si puo’ affermare che la poesia di Mariotti, per chi la conosce da tempo, ma anche per chi vi si accosta per la prima volta, è  un impasto, rigoroso ed etico, tra  storia,  natura e uomo,  addolcito nella fattispecie da sguardi bonari e nostalgici, in un tutt’uno, limpido e coerente  di ricordi emblematici, talvolta dolorosi ma sempre pragmatici, della storia collettiva e  personale, confluenti gli uni negli altri, in un ventaglio emotivo sempre in movimento  e offerti al lettore come lampi luminosi. Ed è forse proprio questo ventaglio emotivo a muovere l’aria e a creare  il  vento che il flauto di Pan del titolo modula  in mille armonie e significati,  come i coriandoli di  un sapiente numero di magia.

Il libro,  spalmato nei lunghi tempi della Storia, è dedicato, come dicevamo, ai poeti più importanti della nostra tradizione letteraria, formativi e fonte d’ispirazione per Mariotti,  ed ha  la prefazione acuta e sapiente di Anna Maria Curci, la quale sottolinea ed  individua   l’efficacia e la solidità dei testi  nella loro salda   struttura metrica ‘’…La precisione e la cura del dire sono ulteriormente evidenziate dalle scelte metriche, che variano, talvolta anche all’interno del singolo componimento…’’. Diviso nelle sezioni Annus  Horribilis, Quattro lapidi, Più di mezzo secolo fa, Cinque distici, Diario del 2022, il libro si dipana in una narrazione nella quale la parola poetica, concentrata al massimo e ridotta alla sua essenza, amplifica significati, verità  e potenza,  come mai prima.

 La protagonista assoluta è dunque  la Storia, una storia che parte  dagli anni ’50, ed è vista dapprima con gli occhi di Andrea bambino che ascolta con commozione consapevole le parole  di  papa Giovanni XXIII nel famoso ‘’discorso alla luna’’ dell’ottobre del 1962,’’…tornando a casa/portino i genitori la carezza/del papa ai loro bambini, dicendo/una parola buona…’’,  per continuare poi con Andrea adolescente, ragazzo e infine  uomo, durante  gli eventi tragici degli anni ‘60, gli attentati mortali a Martin Luther King e John Fitzgerald Kennedy, la guerra del Vietnam, fino al Maggio francese e ai nostri ‘’anni di piombo’’, per giungere  agli eventi tragici dell’assassinio, mai realmente indagato e punito,  di P. P. Pasolini, ormai mezzo secolo fa ‘’…sì, quello della nascita di un vento/di nome Pier Paolo Pasolini/massacrato da luridi assassini/tuttora ignoti per bieca congiura…’’ e del giovane Willy Duarte, ‘’…Notte di Colleferro/non sfuggirci di mano/smemorati siam troppo/nella polis che muore’’, in tempi recentissimi, ricordo che apre la prima sezione della silloge a sottolineare che forse nella Storia il tempo è sempre attuale, nel suo ripetersi,  in senso vichiano, pur nelle differenze, per concludersi infine  con gli anni della pandemia, dell’invasione russa dell’Ucraina e della paventata guerra globale. Decenni, dunque,  in cui gli avvenimenti  si susseguono nella duplice veste, personale e collettiva, decenni che hanno segnato, con  motivazioni diverse, la nostra coscienza.

Così appare in tutto il suo valore anche il titolo. E’ la storia ad essere portata dal vento,  il vento  del ricordo e dei sentimenti che esso suscita,  modulati da un  flauto di Pan  che unisce le vibrazioni leggere, veloci e talvolta strazianti delle  melodie  di  Gheorghe Zamfir alle frequenze armoniche che risuonano nella parola poetica, soffi, fiati acuti che si insinuano nello strumento, nelle sue canne decrescenti,  amplificati in note asciutte, precise ed evocative. E’ un flauto di pace,  vibrante, ispirato  da un vento che è anche coscienza e commozione, ‘’… Quel ventiquattro del mese, io tornavo/dai Castelli Romani con incauto/diletto; chè tutto mi perdonavo, pieni i polmoni d’aria pura…il flauto di Pan unito al vento…’’, ma anche  ironia, amarezza sarcastica,  lama affilata e precisa, coraggio senza rassegnazione, è   il suono di un flauto virtuoso, tradotto in scrittura, nel quale la datazione esatta dei fatti, come in ‘’un non tenero diario’’,  scandisce con efficacia il tempo che passa e lo ferma, lo colloca  nella Memoria al punto giusto, alternando eventi epocali e lutti a speranze, sempre disattese.

 Colpisce la sintesi che diventa analisi, nel momento in cui induce alla riflessione, trasformata poi in amara e lucida denuncia, senso di perdita e domanda senza risposta ‘’…No, non ci riavremo/presto; la mutazione corre, saremo cosa?’’  Questo si chiede il ‘’verso schietto’’ e netto di Mariotti, il cui sguardo poetico e critico sul mondo e sulla natura umana è sempre più forte, determinato e libero e  l’interrogativo del verso non riguarda certamente solo il virus pandemico mutante, ma il  mondo intero che sta andando, chissà come, ormai chissà dove.

Tiziana Marini

domenica 1 giugno 2025

''Luce del tempo'' di Marco Onofrio (Passigli Poesia, 2024)

                                      


’Luce del tempo’’ (Passigli, 2024), la recente silloge di Marco Onofrio, è un dono prezioso di costellazioni emotive e non solo. Molto è stato scritto su questo libro, a cominciare da quanto espresso nella dettagliata ed esaustiva prefazione di Gianni Turchetta, e molto dice la citazione in esergo ‘’La vita è questo, una scheggia di luce che finisce nella notte’’ di Louis-Ferdinand Céline, tratta da ‘’Viaggio al termine della notte’’, ma le chiavi di lettura sono molteplici. Il titolo, complesso per le sue sfumature semantiche, esprime, come tutta la raccolta,  una sinergia tra scienza e filosofia, tra fisica e metafisica,  uno ‘’spaziotempo’’ che diventa categoria filosofica e un romanticismo illuminato di forze dirompenti sfumate nelle infinite variabili del cuore che insieme diventano poesia. Di certo non è  immediato definire cosa sia la luce del tempo nello stretto e denso legame dei due termini suggerito dal titolo. Di certo la luce non è quella, per esempio,  del ‘’girasole impazzito di luce’’ di Montale, né quella interiorizzata del ‘’m’illumino d’immenso’’ di Ungaretti, entrambe sconvolgenti al presente. Qui la luce viene dal passato ed è vissuta in una dimensione di lucida consapevolezza. Ma il tempo ha veramente una sua luce, e se sì, qual è? Per avvicinarci, solo avvicinarci alla risposta dobbiamo considerare  che il vero luogo dell’anima e di palingenesi del libro non è solo il cosmo, splendente di stelle e pianeti, topos caro al poeta che qui tra l’altro scrive con sconforto ‘’Le care nebulose dell’infanzia / sono ormai svanite…’’, ma un mare-brodo primordiale di acqua feconda di luce e vita ‘’…L’acqua del miracolo…’’, un liquido amniotico protettivo e potente nel quale tornano in vita anche ‘’storie sigillate / che nessuno potrà mai / recuperare…’’, grazie al tepore di una luce amorevole, quella del tempo che sana le ferite e dona speranza. Questi elementi sono la Natura, il Vuoto, il Silenzio, l’Eternità, l’Universo, l’Invisibile, ma anche la Morte e la Rinascita. In realtà prendono vita  grazie a un’illuminazione particolare del tempo, quella potente della Memoria che come un laser dal raggio chirurgico ne contorna i profili, esaltandoli. La Memoria è un’ancora di salvezza che,  attraverso il ricordo, ci restituisce ciò che avevamo e abbiamo perduto, recuperandone la bellezza e l’emozione, così da lenire il senso di perdita e solitudine, altrimenti incolmabile. Scrive Onofrio: ‘’Fummo ragazzi felici / leggevamo l’alfabeto della luce…’’ che è sì rimpianto, ma anche testimonianza e consapevolezza di ciò che eravamo in un mondo esistente ancor prima e dopo di noi, il prima e il dopo che non sappiamo immaginare, ma che costituisce il misterioso filo, forse il senso, dell’intera vita. La luce di Onofrio ci permette di scovare quel filo e quel senso, dipanati nel tempo,  e  finalmente sentirne il racconto attraverso la sua voce : ‘’…Il suono bianco-gloria della luce…’’ un suono puro, catartico, che dona serenità e che arriva da lontano, dagli abissi più profondi dei fondali e dell’anima, richiama in vita persone, affetti, attimi di un tempo passato, inconsapevolmente felice, prezioso e più luminoso delle stelle.  

Così, illuminato in  ogni angolo buio, il nostro vuoto torna ad essere pieno, torna a tacere  perfino il silenzio e tutto si proietta verso il futuro, in un messaggio positivo di speranza. È questa la luce del tempo, espressa in mille gradazioni,  l’energia, lo sguardo che crea e consola, la consapevolezza. Ma non è luce abbagliante bensì luce resa discreta, misteriosa e struggente. In tutto il libro in effetti ciò che conta per davvero è ciò che vediamo nella penombra: ‘’Luce morente di vita già passata… oltre la notte del futuro … ‘’,  nel raccoglimento degli occhi chiusi, quando Onofrio scrive: ‘’ … Cose che io vedo / ad occhi chiusi / come i fondali irrangiungibili / del mare…’’,  così come nelle profondità del cuore. È la  luce della ‘’storia millenaria’’ dell’acqua che ci ha generato: ‘’M’immersi e il tempo m’inghiottì nella sua luce.” Dunque un ‘’oceano sacro di beatitudine’’ in cui entrare: ‘’Entrare nell’immenso / e farsi mondo. / Diventare uno col profondo ’’. E ancora: ‘’Cerco il luogo dove mi hanno concepito: / è lì che potrò essere felice / Vieni,  ti stiamo aspettando /  mi dissero le onde in un riflesso … ’’. E l’acqua si mischia al cielo in un continuo dialogo tra mare, terra e aria, dice infatti Onofrio: ‘’L’acqua scompare / sale in cielo / nebulizzata in polvere / di stelle’’. E c’è poi la luce del rimpianto, quella profonda della nostalgia struggente, espressa soprattutto per la figura paterna nelle poesie ‘’Miliardi di onde’’ e ‘’Tristezza dolce’’: ‘’Miliardi di onde fa / c’eri tu, padre / a guardare questo mare … ‘’, e ‘’Mio padre ora vive lassù / e arrotonda nuvole col tornio … ‘’, dove la separazione non è mai lontananza ma prossimità e continuità.

Accanto a questa luce penetrante, interiore, c’è poi  la luce inaspettata di un giorno qualunque, racchiusa nelle cose più piccole : ‘’La luce di un giorno qualunque / irradia la grandezza della vita, tutto il suo miracolo / e il mistero…’’ e infatti il poeta scrive ‘’Sono piccole cose preziose / e la vita è salva!’’. La salvezza è dunque nel microcosmo, sebbene il macrocosmo catturi con lo sguardo la mente e i sensi e sembri governare tutta la nostra vita. Ma, ancor più di questo e sopra ogni altra cosa, c’è l’amore, la luce più grande, che si rivela spesso, ma non solo, nell’amore per una donna, carnale e spirituale a un tempo: ‘’…Quando una donna arriva / per amarti / ti basta già pensarla, sei felice!…’’. L’amore è la risposta a tutto con un precetto fondamentale da rispettare infine, che è quello di  saper gioire della gioia stessa: ‘’Gioire della gioia / è l’unico precetto da osservare … ‘’ per dare un senso al mondo, rendere più sopportabili le sue spietate regole.

In conclusione di questo viaggio, sicuramente incompleto, nel vasto universo poetico di ‘’Luce del tempo’’, nei suoi versi potenti e ritmati, costruiti intorno a paesaggi terracquei e cosmologici d’immensa bellezza ed efficacia, nel suo tempo  declinato in mille eventi atmosferici e cronologici,  a sottolinearne la sua inarrestabile fluidità che tutto trascina e avvolge, ma anche nelle brevi e folgoranti prose ugualmente significative, possiamo dire che la luce di Marco Onofrio, a pieno titolo tra le più belle voci poetiche contemporanee, è poesia e vita, è la parola che, per dirla con Luzi, non è ‘’disabitata trasparenza’’  ma luce della luce, disseminata dal tempo, suo alfabeto.

Tiziana Marini

La recensione si può leggere anche sul blog ''Del cielo stellato'' della Casa Editrice Edilet a questo link: 

giovedì 2 gennaio 2025

''L'inclinazione di una foglia alla luce'' (Ensemble, 2023) nella lettura di Gabriella Maggio'

 


Tiziana Marini letta da Gabriella Maggio

 

 

Leggendo “L’inclinazione di una foglia alla luce”, silloge poetica  di Tiziana Marini (ed. Alter Anima mundi) mi ritorna in mente un verso dell’ultimo Saba “Uomo…sei troppo e troppo poco”  perché nelle poesie di Tiziana  è evidente sia  l’ansia di stringere tutto a sé sia la  consapevolezza  che non si può.Tuttavia, diversamente da Saba che considera la condizione umana  una sventura, Tiziana  crede che il tutto, la compiutezza cui lei  aspira, si possa ritrovare nel tocco umano del vento/ nel suono di mezza foglia che cade. Non nell’intero, ma nel frammento. Il titolo della silloge fa da soglia nel suo  riferimento ad un particolare raggio di luce che illumina una foglia e le dà la vita. Consapevole che il mondo contemporaneo è caratterizzato dalla dispersione e dallo smarrimento del senso, ma soprattutto dall’incrinarsi  della sua compattezza, Tiziana  da  autentica poetessa si concentra su oggetti spesso naturali e li  riscatta rilevandone una potenzialità semantica che scardina l’ovvio,  il sempre uguale, l’omologazione. Rintraccia ed esprime quello che nella percezione della propria esperienza non è visibile. E la sua parola assume la stessa “ tessitura” del tempo e diventa folgorazione lirica essenziale, varco necessario alla comprensione del mondo.

 

La poetessa abbraccia tutto della vita,  il ricordo di chi non c’è  più, il dolore e la sofferenza, ma  anchela bellezza e l’amore contro cui nulla può la sorte/ di questo mondo storto e casuale. Con animus lirico incide immagini diamantine  che intrecciano passato e presente, luce e ombra, gioia e dolore. L’eco luminosa dei versi non arriva  soltanto agli occhi, ma è rivelatrice della vita, di emozioni e sentimenti nei  quali il lettore  può rispecchiarsi e dire : anch’io. Si potrebbe a proposito citare Vivian Lamarque: mentre lei scrive una lama entra / di sole e tutto intorno cambia… Le parole di Tiziana emergenti dalle “occasioni “della vita generano  una poesia che riconosce sempre le sue origini nell’esperienza di vita,  nello  spazio intermedio tra dimensioni diverse, in cui le strutture formali sono anche progetti d’azione, di salvaguardia di un  vissuto, che talvolta ci coglie  “impreparati, senza pullover né sciarpe’’come dice G. Ritsos in “Debito autunnale”. Eppure La penna –aratro/ aggiustando le cose/ in un epilogo misterioso/di uguaglianza genera l’effetto di comprensione del mondo, insieme alla consapevolezza  che nulla nel mondo è necessario. L’amore, l’avere cura  di sé e degli altri  offrono alla poetessa la via del riscatto dall’insignificanza  e dell’accettazione dello scorrere del tempo e il succedersi  di  eventi alterni. Il linguaggio poetico di Tiziana Marini  è essenziale e peculiare, mescola parole del quotidiano : zip, bottoni, maglioni e parole del repertorio classico Merope, Pleiadi, Vestali, Tetide. Ai poeti che l’hanno ispirata e che rappresentano il suo fertile legame con la tradizione, spesso allude, ma a Ghiannis Ritsos si rivolge direttamente con un’affinità senza veli: Tra poeti si ritorna a sé , dall’altro.