martedì 10 ottobre 2017

''La parola detta'' di Stefania Di Lino



“La parola detta” (Ed. La Vita Felice – 2017)- Lettura di Tiziana Marini


La nuova raccolta di poesie di Stefania Di Lino dal titolo “La parola detta” (prefazione di Cinzia Marulli - Ed. La Vita Felice, 2017), trova già nel titolo il suo significato più profondo. Quando una parola e’ stata detta infatti è difficile cancellarla o modificarla perché la parola opera sulla realtà, sia fisica che psichica,  una trasformazione irreversibile, come il fuoco sulla carta e anzi, in quanto verbum o logos, è creatrice e si identifica con la divinità stessa. La parola  costruisce cosi’ una trama, una ragnatela di rapporti, legami che si intersecano come i meridiani e i paralleli, e al tempo stesso è mongolfiera che ci fa volare “dopo aver rosicchiato le corde” che ci legano al suolo, come afferma la Di Lino stessa in una poesia della raccolta, ricordandoci così la poesia di Mario Luzi  “Vola alta parola...” (e la parola di Stefania vola altissima!) in cui  proprio la parola è chiamata a raggiungere gli estremi opposti nadir e zenit per indagare l’anima mundi, per  mettere in contatto il poeta con se stesso e con gli altri e gli altri con gli altri, trovandoli e raccontandoli tutti nell’interiorità della  propria coscienza. E questo è un libro che parla di coscienza alla coscienza con le parole dell’inconscio, sintonizzando ogni elemento, ogni respiro con le frequenze etiche dell’universo “….volare alto trasformando in ali le dita” dice ancora la Di Lino, con una fisicità intensa e presente continuamente nella raccolta, dapprima come seme orizzontale deposto nella zolla e poi come albero verticalmente proteso verso il cielo “…orizzontale dunque fui / e parallela alla terra / ma verticale è la pianta nata / che in alto il suo stelo tende / ed è albero che come mani / in alto allunga i suoi rami …”.
Questa seconda raccolta, preceduta da  “Percorsi di vetro” (de-Comporre Ed. 2012) è ancora un viaggio, ma questa volta nella verticalità di se stessi, un viaggio sincronico dove si possono ritrovare vari archetipi, primi fra tutti  quelli  della Grande Madre e della Madre Terra con il ciclo  di morte e rinascita, ma anche l’istinto e l’emozione.
Dal punto di vista strettamente strutturale le poesie mancano di titolo e il loro inizio e la loro fine non sempre coincidono con l’inizio e la fine reali, sono segmenti su una retta infinita, parti di un pensiero fertile che improvvisamente (ma frutto di grande lavoro!) prende forma sul foglio, affiorando dalle profondita’ del nostro “inner eye”, un pò come i percorsi sotterranei delle acque, un pò come le battute musicali, visto anche l’uso di slash di separazione, sempre inserite in una partitura ben più grande che in questo caso coincide con la vita.
Certo è che le poesie di questa raccolta della Di Lino scavano per davvero in ogni profondità sia del corpo che dell’anima, sono semi nelle zolle che germogliano come lei stessa afferma nella sua dichiarazione di poetica “porto un Dio dentro /dannato e bello / che coltiva pazientemente la mia cesura / la semina mi rende fertile / così fiorisce la mia scrittura”.
Ma quali sono le parole dette alle quali fa riferimento la Di Lino? Sicuramente quelle taciute “…perché dall’alto  / di ogni priorità muta /  si trova il nido della parola taciuta…”, quelle sollevate “…si aprano al cielo e al vento / le parole sollevate dal fango / commistione pura della terra / che talvolta radici vanno recise…”, quelle date “…ci sarà nell’aria  / un lascito d’amore / un vento nuovo / pulito di odore / che porta in sé la parola data...”, quelle buone “Cambierai / e lo farai attraversando lo specchio / spinta dal vento / e da una carezza di parole buone...”,  quelle ritrovate “…tornerà presto il tempo / della parola ritrovata e detta /  quando l’assenza sarà seduta /ogni parola sarà per vocazione / ogni radice terra vicinanza,…”, quelle in attesa di essere scritte “…e sempre rimane qualche parola / nell’angolo cavo di un pensiero / non si tramuta in lingua denti o bocca / è lì che lenta matura / silenziosa parola che aspetta scrittura.”, quelle offerte “…e le parole offerte che non crebbero mai / per farsi radici…”. E ancora le parole  “che se pronunciate / slittano / su uno stupido amoroso accento …”, e  le parole ritrovate “…sempre spinte dal vento...”. Ma soprattutto ci sono  le parole scritte col sangue, nate dall’anatomia fisica del dolore, pezzi sofferenti del nostro corpo che ci guariscono come medicine perché la guarigione passa per la sofferenza “…se solo tu scrivessi col tuo sangue / che sgorga da un dolore che non passa…i versi sarebbero salvezza, unguento / diventerebbero certezza, medicamento,” e  dalla consapevolezza di dover ripulire la nostra coscienza dai  piccoli omicidi compiuti quotidianamente “…e son fiotti di sangue schizzati / sulle piastrelle nuove / della cucina / che fatica stamattina / dover ripulire le tracce lasciate / dai piccoli omicidi efferati / perpetrati da ogni giorno che passa,” siano essi involontari così come frutto della scelta precisa di affidare alla parola poetica il compito di fare, per dirla con  le parole della Di Lino,  da cecchino, appostandosi  per uccidere la prepotenza e l’ingiustizia del mondo. Non certo per la gloria, ci dice la nostra Autrice,  ma solo perché la parola poetica è un’arma più efficace di qualsiasi altra arma poiché lavora alla radice, partendo dal cuore delle cose “e di primo mattino / piazzato su un grattacielo / da vero cecchino / avrei preso la mira con calma / sarei passata alla storia / almeno azzoppando / con freddezza di colpi / una dozzina di esemplari / della famelica dinastia dei Tirannosaurus rex / poi invece ho scritto una poesia / così nessuno saprà niente di me,…”.
La Di Lino ci offre così  una visione forte, a volte iperrealistica, venata di ironia, tratteggiata con  i contorni decisi della sua pittura e della sua scultura e sempre dolorosa dei nostri tempi sottolineando  che alla fine ciò che davvero uccide non sono le armi, fucili o parole che siano, bensì la mancanza d’amore “…che il morire vero è laddove mai è stato amore…” e  che, come ci dice  in altri bellissimi versi ci si salva insieme “…dimmi che ci salveremo /  mano nella mano…” prendendo coscienza dell’altro e dei nostri doveri al presente  “…c’è sempre una guerra da smettere / e l’amore da fare “ e al futuro “…avremo ancora sguardi / da donare al mondo...” in una dimensione di grande umanità e respiro sociale. E tutto questo è possibile secondo la nostra Autrice,  non seguendo le ragioni del cuore o dell’intelletto,  benché necessarie, ma quelle del tempo e dell’impegno costante, in un sentire che la porta ad unire in un unico abbraccio i suoi figli, auspicando per loro un destino felice “…vi parlo dei miei figli / che furono bambini / quelli impastati dal sangue nella terra / non fatti per morire degli altri la guerra / ma per costruire felici i loro destini,” e i figli  del mondo poiché “le genti non appartengono mai / a un solo posto / mille latitudini attraversano… ed …è solo con le scie disperate lasciate dal loro passo / compasso che si ha l’esatta misura del mondo”. Tutto questo sarà possibile  ma “bisognerà contarci / guardarci negli occhi e tenerci stretti / e credere credere /  nelle ragioni del tempo,” smussando gli angoli del centro, i dissidi più profondi che minano il nucleo dell’umano agire perché l’angolo è la sola certezza “…scommetti tutto te stesso / nell’ordine apparente / delle tue ritrovate simmetrie / e non ti accorgi che / delle tue geometrie / rimane solo la certezza dell’angolo,”.
Ma è navigando nella geografia del corpo, un corpo che diventa palcoscenico per organi/attori che le parole di Stefania diventano grido che racconta di madri “Ho visto mia madre invecchiare / consumarsi / nel sempre più ristretto ambito delle sue clavicole….” e di nascite “carne di amorevole carne  / mentre scivolavi via dal mio corpo / io la tua prima frontiera / tu il mio canto nel mondo “,  di amore “…Una volta mi disse / “ti voglio bene, non te l’ho mai detto / io ti voglio bene / ma eri così diversa da me / e io non ce l’ho fatta…”.” e di figli ”tu che mi guizzavi dentro / argenteo pesciolino / tu che ora affronti il mondo / con le mani di un pianista / e gli occhi scuri /  furiosi di tuo padre “,  passando per l’attimo senza tempo della consapevolezza.
Tanti i temi, dunque, di questa bella raccolta di poesie di Stefania Di Lino (molti spetterà al lettore scoprirli),  temi che,  come in un gioco di specchi, tanti altri ne riflettono all’infinito. Tutti però concorrono a sottolineare l’importanza della parola detta, soprattutto poetica, in tutte le sue molteplici modalità. Se Montale in una sua celebre poesia  “Non chiederci parola” affermava  che la parola può dirci solo “ciò che non siamo e ciò che non vogliamo”, e  se Ungaretti la riconosceva, questa parola, “impotente” e capace solo di ”avvicinarci al segreto che è in noi”, la nostra Autrice invece  crede fermamente nel potere della parola che è catartico, ecumenico e a suo modo rivoluzionario. E questa raccolta ne e’ la testimonianza.
                                                                                                                                            

                             

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