giovedì 5 luglio 2018

''Ai bordi di un quadrato senza lati'' di Marco Onofrio (Marco Saya Ed. 2015) - Nota di lettura di Tiziana Marini





Ai bordi di un quadrato senza lati (Marco Saya Edizioni, 2015) è una intensa raccolta di poesie di Marco Onofrio, poeta, scrittore, saggista e intellettuale a tutto tondo. Il titolo ben rappresenta le due anime, le due ideali sezioni del libro, poiché il quadrato è la figura geometrica più “terrena’’, simbolo dell’immanenza per antonomasia, ma è anche, nella fattispecie, nel suo non avere lati, nella sua apertura, un forte simbolo di trascendenza, ancor più del cerchio, considerato da sempre simbolo del cielo e dell’infinito. Insomma, un quadrato senza lati è forma e aspirazione alla libertà. L’autore, ponendosi ai bordi di questo quadrilatero illimitato, sottolinea con grande efficacia la sua posizione intermedia, un dentro-fuori che è ricerca personale e sociale, su entrambi i versanti, ma ovunque tale posizione ci appare piena e totale nel suo legame con la terra-finitezza-realtà e al tempo stesso con il cielo-spirito-infinito. E se nel primo legame prevale una poesia viscerale, civile, a tratti teatrale e ironica, e una visione del mondo orrorifica ed espressionistica, a rappresentare il caos dell’elemento terreno, nel secondo la poesia si fa lirica e metafisica. Dall’uno all’altro polo si snoda un percorso attraverso follia-ribellione-fango, a spezzare i lati ideali del recinto. Emblematici in tal senso sono i versi «Basterebbe uno scatto di follia / Una bestemmia di ribellione / La forza di volerci come siamo / aldilà di tutto…».
Le prime poesie della raccolta sono dunque dense di visioni espressionistiche ed apocalittiche («…Ardeva dappertutto in galle putri / intriso il Finimondo alluvionato / dai botri più reclusi ai vasti abissi…») che ci raccontano con grande intensità visionaria un mondo in cui, come in una bolgia dantesca, Dio non c’è e in cui «… rotoliamo nel fango / …Ingrassiamo di dolore / per la baldoria guasta / di una festa grande / che verrà… », prigionieri di una natura ormai «…costretta e rovinata / in dissolvenza». Qui il linguaggio dell’autore si fa specchio del caos, con grande originalità e forza espressiva. Nella seconda ideale sezione prevale invece una poesia metafisica che esalta, con grande tensione drammatica e spiritualità, i temi cari all’autore, fra i quali ricordiamo quello dell’acqua in tutte le sue declinazioni più suggestive («…l’acqua della sera / ormai combusta…»), quello del vuoto («…Anima di fiamma salirai / di vuoto in vuoto nell’eterno / essere increato…»), del tempo («Questo insensato scorrere di giorni / tralucenti ombre dentro il cielo…»), e della luce («…Ogni transito del giorno / ha la sua ragione /: / la sua luce…»). Tutti concorrono a dare voce ai temi dell’attesa («…È la vigilia / permanente di una festa / che non arriva mai…»), dello sguardo («…come la luce dentro gli occhi / di Francesca, qualche giorno fa…»), del mistero della vita e della verità («…Quale tra le vie che io sono / nell’ignoto buio dei miei fatti / stabilirono i destini come giusta?…»), ed infine del viaggio («…la meta resta chiusa, velata / dentro un nuovo inizio»).
Ai bordi di un quadrato senza lati può essere considerato a tutti gli effetti un vero e proprio viaggio nel viaggio della vita, in cui, tra passione ed intelletto, si dipana un percorso non alla ricerca di verità assolute e certezze, quanto piuttosto di angoli di visuale privilegiati che ci consentano di focalizzare la realtà nelle sue eterne ma soprattutto attuali contraddizioni. È la visuale che si ha dal bordo e non dal centro, la posizione privilegiata, quella che ci permette una visione più ampia, uno sguardo interiore attento e profondo, dai poteri illimitati, nutrito dalle incertezze e dai dubbi, dalla voglia di conoscere e di conoscersi, così come fa il nostro autore allorché chiede a se stesso risposte ai continui perché della vita («E il senso?»; «Perché si vive? A chi si scrive?/ Dov’è l’esito del tempo? Il centro misterioso delle ore?»; «Che cosa può l’amore? / Fin dove può arrivare?»). Non c’è una risposta a questi interrogativi, tuttavia una certezza esiste e Onofrio ce la ricorda in questi versi: «Grazie per averci emozionato! / Per averci ricordato che saremo / in ragione dell’amore che avremo / dato… perché l’uomo, è più forte della morte / che lo uccide, e può salvare / e salvarsi, vivere e far vivere / per sempre». Dunque ci spetta ciò che abbiamo donato per una legge morale che non ammette attenuanti e sotterfugi, chiara e imprescindibile.
Con l’intensità della fotografia in bianco e nero, un ritmo incalzante e rêveries di grande potenza, questa silloge esprime non solo lacerazioni e smarrimenti, ma anche un profondo amore per la vita vissuta nella sua immediatezza, nella quotidianità e nella semplicità delle piccole cose, come ben rivelano questi versi delicati e propositivi: «…Guarderò alle rose, ai fiori blu / che sbocciano dai rovi scheletriti. / Metti qualcosa di rosso, stasera / usciamo: andiamo a far baldoria / ché apparteniamo al mondo / e siamo vivi». Una poesia di grande forza, quella di Marco Onofrio, che spezza e crea legami profondi nell’anima del lettore. Una poesia colta e raffinata, legata alla tradizione eppure distante da essa, tanto che pare limitativo ogni paragone, ogni avvicinamento seppur vago ad altri autori, sebbene sia facile pensare per esempio a Bukowski, perché è nell’originalità la cifra più importante di questo poeta che dice di sé, nella poesia che offre il titolo alla raccolta: «Beati quelli che si accontentano / delle nuvole: io per me, basto / alle stelle…»; e ancora: «Lo sguardo di Odisseo. Il mio. / Di viaggiatore che prende commiato…».
In conclusione, due anime che si completano sono i motori di questa silloge, una tela di ragno ricamata sulla realtà i cui punti di connessione, gli architravi portanti sono il tempo, lo spazio, la bellezza, il vuoto, l’infinito, il dolore. Aperta in un punto, in corrispondenza di un sentire pieno di speranza che anima sempre il nostro autore, questa tela di ragno permette all’infinito-fuori e all’infinito-dentro di dialogare e costruire, attraverso la parola, un terzo infinito, l’iperinfinito della vera poesia: quella che forse può, partendo dalle viscere della terra, dalle nostre viscere, cambiare il mondo attraverso un sentire chiaro e costruttivo.
 Tiziana Marini



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