Nota di
lettura di Tiziana Marini per ‘’La compagnia delle oche’’ di Natalia Stepanova
(Ensemble, 2024)
La nuova silloge ‘’La compagnia delle oche’’(Ensemble, 2024) di Natalia Stepanova è un intenso racconto in poesia, scritto
negli anni dolorosi della pandemia, un dipinto animato, ambientato in un giardino
che è hortus conclusus e locus
amoenus al contempo, ben separato dal locus
horridus circostante del quale
comunque avverte gli echi. Questo giardino, luogo e dimensione allegorica
dell’esistenza, soggetto alle leggi del Tempo, delimita l’universo poetico della Stepanova, con le oche del titolo in primo piano, incarnazione della dimensione etica e sociale della raccolta, con la rosa
coprotagonista, simbolo di rinascita continua e con il Genius loci, nume
tutelare ed essenza spirituale del luogo, rappresentato dalla stessa poetessa,
io narrante e immagine riflessa e riflettente che tutto assorbe ed emana. E’
quello della Stepanova un giardino del Tempo
e delle Stagioni, un microcosmo che
muta eppure immobile, abitato dai cari Animali
della vita domestica e selvatica, dai fiori, dal Vento, dalla Gioia, dal Dolore,
dalla Vita e dalla Morte, dall’Attesa e dalla Speranza, un luogo dove pregare
ed esprimere al Signore la propria
gratitudine anche quando l’inverno e la malinconia invadono l’ anima, un luogo
sacro, abitato dagli Angeli, specchio della vita nei suoi mutamenti stagionali e
percettivi, espressione della religiosità
del creato e della sacralità del Pane e
del Vino, un rifugio sicuro, tra delizie e tormenti.
Addentrandoci nella narrazione
poetica possiamo analizzarne i vari elementi. In primis, ovviamente, il
giardino, con tutte le caratteristiche esposte precedentemente, di hortus
conclusus contemporaneo, topos che
affonda le sue radici nel mito biblico e classico, da Omero a Virgilio,
da Dante a Petrarca e Boccaccio,
da Milton a Bosch, o ancora, luogo dell’anima, da
Virginia Woolf a Emily Dickinson e Monet, un luogo non solo reale ma anche spirituale, individuale e collettivo, e quindi
archetipo, non solo di pace e bellezza, manifestazione della perfezione della Natura in tutte le sue
dinamiche, ma anche universo di valori eterni. Scrive la Stepanova: . ‘’Il mio giardino/è tutto il mio mondo,/solo qui io posso/respirare
senza/rendere conto/a nessun altro/che non siano i fiori’’. Lo sguardo quotidiano
della poetessa, dunque, nel seguire l’andamento cronologico delle stagioni,
siano queste meteorologiche o dell’anima, diventa cura amorevole e fa sì che il
giardino si trasformi in un ‘’giardino interiore condiviso’’ fluente e mutevole, luogo di vita, depositario
non solo di bellezza, ma anche di
tempeste, dove la natura, il Bene e il Male si raccontano e si contrappongono, un luogo dove il Destino si manifesta nella sua potenza, pieno di presenze e di assenze, e dove la
gioia lascia spesso il posto alla malinconia, ma comunque un luogo salvifico.
Un giardino epifanico, metafisico e, nel
suo aprirsi all’infinito e ad altre dimensioni lineari o cicliche, ma sempre
percepite eterne, soprannaturale. E
veniamo alle oche. Le bianche oche
dal lungo collo che abitano il giardino sono simbolo di coraggio, resilienza al
freddo e all’acqua, sono coraggiose, sempre attente, compatte negli intenti,
rumorose all’unisono, le stesse che salvarono Roma: le sacre oche del Campidoglio.
Scrive la Stepanova: ‘’Siamo oche,
impavide camminatrici/dal collo lungo e dal becco rosso:/portatrici di sogni e
di chimere,/miti, poesie, fiabe, leggende./Siate santi, imparate a essere oche.’’
e ancora: ’’ Le oche con il loro passo tranquillo/sono padrone di camminare dove
vogliono./Sono belle le oche e sanno dove andare./Al collo portano i
campanellini argentati,/per scacciare gli spiriti maligni – fuori,/fuori i
demoni dai cuori e dai villaggi/. Un modo auspicabile, quello delle oche, di stare insieme nell’inquietante presente, una
salvezza condivisa nel giardino metafora
della vita, sempre più assediata e circondata da forze avverse. Tra le altre
preziose e benefiche presenze dell’orto/giardino della Stepanova ci sono fiori
profumati, erbe aromatiche, animali buoni e liberi, alberi da frutta, e in questo
universo di presenze spicca la rosa, simbolo importante di rinascita, qui
declinata in tutti i momenti del suo ciclo vitale, quasi un alter ego della
poetessa e del genere umano in un mondo che non muore mai per davvero ma ad
ogni primavera rifiorisce e si rinnova. Così nei versi della Stepanova: ‘’Io sto con le rose,/loro tutto sanno di
me,/ e di nulla mi giustifico./Io sto con le rose/e nulla mi tange./Io so che
le rose di sempre/riporteranno il mio cuore/nel cuore della rosa eterna.’’In
conclusione la poesia della Stepanova è una poesia
importante, riconoscibile, elegante, piena di speranza nonostante la
presenza di un destino ineluttabile, una
poesia che riempie di stupore, di emozioni e di mistero il cuore del lettore
come dovrebbe fare la vera Poesia, ma è anche una poesia dove la semplicità del
quotidiano ha la sacralità di un rito, tra le benefiche presenze angeliche e la vicinanza buona degli
animali domestici. Dice infatti la
Stepanova con fiducia e speranza: ‘’…Apro
alla vita in ogni istante-/il primo caffè caldo, gli occhi/del cane, la
pazienza del gatto./Una rosa nel petto, l’aria fredda/del primo mattino, luce –
respiro./Una parola gentile, un gesto/uno sguardo, il pane in tavola’’. A
tratti visionaria ma sempre vera e potente, la poesia della Stepanova incarna
lo spirito russo e quella tradizione
lirica che Angelo Maria
Ripellino, nel suo, ormai introvabile ‘’Poesia russa del 900’’ (Guanda, 1954), riteneva
maestra e ‘’centro del mondo’’ più di
ogni altra tradizione lirica.
Tiziana Marini
Natalia Stepanova (Saratov, Russia), vive e lavora a Roma. E' poetessa e traduttrice. Autrice di vari libri di poesia, tra i quali ricordiamo''Degli horti romani'', pubblicato sempre con la casa editrice Ensemble, cura la rubrica online ''La Russia in versi'' per Russia Oggi e fa parte della giuria del Premio Internazionale ''Pushkin''.
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