‘’Archeologie del cielo’’, (Terra d’ulivi, 2019) di Chiara
Mutti. Nota di lettura di Tiziana Marini
Tre piani, tre
angolazioni, tre percorsi diversi caratterizzano e delineano l’ultima raccolta poetica di Chiara Mutti: poesie, immagini
fotografiche e racconti in sinergia sinestetica, per un testo che si avvale del continuo e
necessario rispecchiarsi dell’uno nell’altro. Scriveva Antonia
Pozzi ‘’…Io non devo scordare che il cielo fu in me…’’ e Wizlawa Szymborka: ‘’
Il cielo e’ onnipresente perfino nel buio sotto la pelle’’. Vale anche per Chiara Mutti questa
onnipresenza del cielo? Sicuramente si. E cosa sono le ‘’archeologie’’ del
bellissimo titolo della raccolta che l’Autrice cerca continuamente nel cielo-fuori,
attraverso l’immagine fotografica, e nel cielo-dentro, attraverso la parola poetica? Non sono di certo le nuvole, sebbene catturate abilmente dal suo occhio di
fotografa (…mi ostino a studiare le nuvole / ma le nuvole sono come il tempo. /
Trattenerle / solamente illusione.), al contrario, sono gli scavi che portano alla luce le ferite ataviche che ognuno ha in se’ nelle
pieghe piu’ profonde dell’anima, da
quando è al mondo, come specie e come individuo. Il cielo della
Mutti, cosi’ mutevole e al tempo stesso sempre uguale, è un cielo eterno, sapiente e tempestoso, simbolo, proiezione, archetipo del sacro e
dell’infinito, interlocutore muto di ogni soliloquio umano; è un cielo che
ha nelle sue ‘’archeologie’’, nelle sue stratificazioni piu’ profonde e nelle
sue coordinate ancestrali, nella sua immutabilità mutevole e nelle sue aeree
viscere, la mappa, per cosi’ dire, genetica di tutte le possibili risposte, restando queste, tuttavia sempre
sconosciute e non decodificabili, per
quanto le parole, in questo caso della poesia, possano
scavare. Al contempo non esiste un cielo
più umano, fallibile e terreno di questo,
solcato, come un deserto o un mare infinito, da dolori antichi, da crepe, rughe e
ferite indelebili lasciate
nell’anima dalla vita stessa. Questo cielo,
spugna e specchio, come abbiamo detto, conserva
tutte le tracce del passato, dal piu’ recente al piu’ antico, ci racconta la
nostra storia, ma è comunque un cielo
imperfetto (…Non è forse / questa
imperfezione l’infinito?...) che esiste anche senza di noi e che, anzi, ci ricorda la nostra finitezza ( …questo cielo
limpido / che tutto accoglie:/ l’amarezza, la memoria, i sogni / questo cielo
che esiste / ‘’lo avresti detto’’ / Esiste / anche senza di me). E’ importante
dire che la poesia di Chiara Mutti, come
il suo cielo, non cede mai al ‘’buio’’ perché ‘’…Anche
il cielo, / il più nero di stelle, / ha le sue prigioni’’, casomai indugia sui tramonti affollati da ali
e croci che il buio altrimenti potrebbe
nascondere (Ecco lentamente il sole precipita. / Il giorno ha piantato una lama
nel cielo / e sul sangue erige il suo vessillo…). Ed e’ poesia che ama la vastità, pur nell’essenzialita’ del
verso, non solo del cielo ma anche della
terra, la riconosce e se ne appropria (…Gli alberi hanno rami lunghissimi / iniziano
dalle foreste / e arrivano fino al mare ) per trasformarla in ricchezza
interiore. Terra, cielo, mare e anima dunque, grandezze che sembrano dialogare
continuamente fra loro, con parole che, come
lampi tra nubi, come onde nella risacca, o ancora come vento nell’erba,
disvelano cio’ che soggiace al vapore, alla sabbia, all’humus, mettendo a nudo i
pilastri del cosmo e dell’anima, e interfacciandoli
con una scrittura che non ammette
tentennamenti o fraintendimenti, una scrittura solida e dolorosa in continua
evoluzione e, complessivamente, con l’intero, policromo mondo poetico
dell’Autrice.
Tiziana Marini
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