‘’Tracciature’’ di Lucio Macchia (Terra d’Ulivi Edizioni, 2023). Una nota di lettura.
Nella comprensione di un testo, il titolo dice se non tutto
sicuramente molto. Così nello specifico di questa raccolta di poesie di Lucio
Macchia (Tracciature, Terra d’Ulivi 2023), le ‘’tracciature’’ del titolo ne
illuminano il contenuto e ne indicano il percorso. Tante sono ovviamente le
possibili chiavi di lettura e in generale gli spunti che tali ‘’tracciature’’,
Crop Circles dell’anima, felicemente
misteriosi e chiari a un tempo, offrono al lettore attento, ma, a mio parere,
non si può comunque prescindere dal significato di ‘’segno’’ che evocano con
forza. E se si parla di segno, è naturale far riferimento al segno fondamentale, ossia la parola scritta e detta, qui vista nel suo
potere ‘’creante’’ l’esistenza stessa, come bene illustra la poesia-prologo ‘’Lo
specchio’’ (‘’…Non sapeva / - quasi mai -/ vivere senza dirselo. / Senza tutta
/ quell’esistenza / - con lui - / nello specchio / d’una parola’’), dove il riferimento forte diventa leitmotiv del testo nella sua
interezza. La silloge lascia intendere perimetri da tracciare, contorni e
incisioni, proprio intorno alle parole così da scavare nel punto esatto del
loro significato più potente. Si parla di solchi come quelli dei campi da arare,
per continuare nella similitudine
precedente, intendendo la penna come un aratro, (mi sovvengono a tal proposito
alcuni versi di Seamus Heaney ‘’…Tra
l’indice e il pollice / la mia atticciata penna si adagia. / Scaverò con
quella’’) e il poeta, in qualche modo, come un agricoltore intento a spargere
nei solchi tracciati, nomi, forme, significati e per ultime, ma mai ultime per
davvero, le emozioni piu’ intense. Ma i
solchi sono anche quelli microscopici e concentrici
dei vecchi dischi di vinile nei quali la puntina che li percorre rivela melodie altrimenti non udibili. E’ dunque un
mondo tutto da scoprire e plasmare quello delle ‘’tracciature’’ di Macchia, alla
luce di queste brevi considerazioni, un mondo di plasmabile argilla al tornio
dove incidere con il lieve tocco delle
dita, le scanalature più profonde, appunto
le ‘’tracciature’’ del titolo, che altro non sono se non la vita stessa, incisa forse non solo dalla penna del poeta o da una immaginaria
puntina, bensì da una luce mirata e concentrata come quella di un laser
tagliente, sempre presente nei testi
della raccolta, una luce che, declinata
in tutte le sue molteplici modalità, rivela i contorni precisi della parola
poetica, così da essere, alla fine, la vera protagonista. La raccolta è divisa in quattro emblematiche sezioni:
Insistenze, Percezioni, Occhi, Respiri ad indicare il percorso conoscitivo dell’Autore che dal
dato sensoriale e soggettivo, empirico ed immanente, attraverso un processo
intuitivo / immaginativo, ci conduce ad una metafisica
condivisibile ed in effetti condivisa, nella
quale le sue poesie snelle ed essenziali anche visivamente, narrano di
una verità molto più complessa di quella effettuale, in cui gli oggetti della
quotidianità si mostrano per ciò che sono ma, essendo anche altro, sono solo il punto di partenza per altri universi e
altri livelli di lettura. Dicevo luce protagonista, luce declinata in
mille sentimenti, luce che illuminando
ancor più nasconde, destruttura e confonde. Così, per paradosso, il vero luogo e tempo della vita e della
poesia, davvero vivo non è il giorno con
la sua luce (…E’ un giorno / senza fatti / e storia, solo / una corsa / contro
il cielo / devastato di luce: / spunto fuori / dal tempo / come da una nera /
pozza / - respiro. ), bensì la notte con le sue ombre e il suo buio protettivo.
Infatti la luce, sembra dirci Macchia,
in quanto brillante e chiara, rivela il mondo com’è, con la sua caducità
intrinseca, le sue deformità, la sua evanescenza nascosta, i suoi pericoli, una
realtà dunque fragile e tremante in cui
nomi e forme perdono la consistenza degli oggetti concreti, una realtà in cui
domina il vento che tutto allontana e una pioggia che tutto diluisce. Al
contrario la notte offre riparo e protezione, nascondiglio e salvezza alle tracce
luminose da preservare per ritrovare la strada e ritrovarsi spesso proprio nelle
pieghe e nei particolari più piccoli del quotidiano vivere. Tutto è nel buio, tutto nel buio è vivo.
Scrive infatti Macchia: ‘’Agli orli
inferiori / nel silenzio / al buio / tremante / in basso / caduto / fragile /
inadatto / all’imo / ferito / remoto / e debole / nell’ombra / d’assenza / tra
le macerie / errante / sperso. / Lì.’’. Tra il prologo e l’epilogo del libro,
dunque un mondo di luci, spesso verdazzurre, colore simbolico e totemico, a mio
avviso, ‘’luci disperse, stremate,
immobili, assordanti’’ e lo svolgersi di un giorno che ci colloca nell’ora
cruciale del tramonto, sospesi e confusi tra luce e buio, nella trasformazione
del giorno in sera e poi in notte quando proprio tutto ciò che scompare e che
non è più visibile in realtà c’è, resta
ed è eterno, (…Com’è minuto - qui - il tuo stare. (…) Percezione / di cose
increate / a emanare / una persistenza / eterna). Così prati, montagne, fiori,
ma anche pioggia e vento, nuvole e silenzio, case e boschi, acquistano senso e
nome e noi con loro, in un universo dove non conta in definitiva la traccia ma
il tracciare, il farsi, poiché nessuna traccia è fatta per restare ( Non le
tracce. Non i lasciti. Il tracciare,
solo il tracciare. (…) E noi dentro la vita : / solo questo ‘’interno’’ / e nessun
‘’fuori’’. Stanze immense / d’un ‘’qui’’ grande / come il mondo.’’. Resta
dunque solo una tracciatura, hic et nunc, che in concreto è soltanto una
dimensione interiore del fare, del creare, del vivere, dimensione alla quale
non possiamo e non dobbiamo sottrarci.
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