mercoledì 19 giugno 2024

La poesia di Yin Xiaoyuan, poetessa multilingue e crossover






Da ''L'Atlante Ornitologico''  della poetessa cinese, Xin Xiaoyuan, la traduzione  del cap 46, Caprimulgus Vociferus o Frusta Orientale. Tre lingue a confronto: cinese, inglese, italiano.

A questo link:

https://mp.weixin.qq.com/s/zC1sue9ALmq-p6mZJunCSA


Yin Xiaoyuan è una poetessa cinese  d'avanguardia e multilingue, fondatrice della Scuola di Poesia Enciclopedica, istituita nel 2007. Promotrice di molti progetti con artisti internazionali, si è laureata all'Università di Studi Internazionali di Pechino ed è membro dell'Associazione degli Scrittori Cinesi e del Poetry Institute of China. Ha pubblicato 11 libri di cui 5 di poesia.I suoi lavori sono stati tradotti in oltre 50 lingue e pubblicati su riviste e antologie. Ha partecipato inoltre a numerosi festival internazionali  di poesia. Amante della montagna, ha viaggiato per tre volte attraverso la Cina, tra il 2018 e il 2023, facendo importanti esperienze sulle grandi montagne.

殷晓媛

百科诗派创始人、智库型长诗/小说/诗剧/实验文本作者、泛性别主义写作首倡者。中国作家协会、中国诗歌学会、中国翻译协会会员。出版诗集《印象之内,物象之外》、《它们曾从卓尔金历中掠过》、《前沿三部曲》、《播云剂》《Cloud Seeding Agent》(英文版,美国Pinyon Publishing出版社,2020)及多部译著。作品被译为50多种外语,发表、广播、被改编成音乐单曲及并收录入多种国际选集与西班牙诗人杰姆·B.罗萨联合主编《无国界诗歌VII:中国-西班牙当代诗人》(西班牙Olelibros出版集团,2021),与澳大利亚诗人格伦·菲利普斯联合主编《Sotto Voce》(伊迪斯·科文大学出版, 2023)受邀参加“Poetry Vicenza诗歌节(意大利,2020+2022“Bitola Literary Circle”诗歌节(北马其顿)、AcoKaramanov诗歌节等多届国际诗歌盛事。曾三次独自游历全国名山大川,攀登泰山、黄山、华山、衡山、嵩山、峨眉山等。

 

Yin Xiaoyuan( “殷晓媛” in Chinese) is an avant-garde, crossover epic poet as well as amulti-genre & multilingual writer, founder of Encyclopedic Poetry School (est. 2007), initiator of Hermaphroditic Writing Movement and numerous crossover projects with international poets/musicians/artists.She graduated from Beijing International Studies University. She is member of Writers’ Association of China, Translators’ Association of China and Poetry Institute of China. She has published 11 books including 5 poetry collections: Ephemeral Memories, Beyond the Tzolk’in, Avant-garde Trilogy, Agent d’ensemencement des nuages and Cloud Seeding Agent (Pinyon Publishing, USA)Her works have been translated into50+ languages and published in magazines and included in anthologies. She was invited to poetic festivals including “Poetry Vicenza”(意大利,2020+2022,“Bitola Literary Circle” and “AcoKaramanov” poetry festivals (North Macedonia). She co-edited “POESÍA SIN FRONTERAS VII--Antología de poesía chino-española” with Jaime B. Rosa (Olelibros, 2021) and “Sotto Voce” with Prof. Glen Phillips (International Centre for Landscape and Language Press, Edith Cowan University, 2023).She is a mountaineering enthusiast who travelled across China 3 times between 2018 and 2023 with remarkable experiences with great mountains.

 


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sabato 15 giugno 2024

Il poeta, scrittore e saggista Marco Onofrio legge ''L'inclinazione di una foglia alla luce''

 

“L’inclinazione di una foglia alla luce”, di Tiziana Marini. Lettura critica.



https://marconofrioscrittore.wordpress.com/2024/06/14/linclinazione-di-una-foglia-alla-luce-di-tiziana-marini-lettura-critica/





Tiziana Marini è ormai – mi pare evidente – una delle migliori poetesse contemporanee. La sua crescita progressiva, su un piano di concentrazione linguistica e – a monte – di schiarimento originario dello sguardo, giunge ora a una conferma che approfondisce gli esiti già notevolissimi raggiunti ne “La farfalla di Rembrandt” (2019), grazie a questo nuovo libro, di rara limpidezza e intensità, delizioso fin dal titolo: “L’inclinazione di una foglia alla luce” (Ensemble, 2023, pp. 90, Euro 13). Un titolo che non solo apre percorsi di consentaneità, e quindi di reciproca contaminazione creativa, tra la “visione” che presiede alla poesia e quella che presiede all’arte figurativa (Tiziana è anche un’apprezzata pittrice), ma innesca rifrazioni simboliche “ad infinitum”, come le onde concentriche prodotte da un sasso in uno stagno, che la dicono lunga sul “modo” peculiare di vedere e sentire le cose “per incantamento”, da cui discende la traduzione musicale della sorgente eidetica che poi coagula sulla pagina.  

Questo libro è un piccolo miracolo di armonie: c’è un fluido luminoso che accende le parole e scorre tra di esse come argento vivo, manifestando “in fieri” la circolarità delle energie e delle trasformazioni a cui obbedisce tutto l’universo. La poesia, quand’è così, rappresenta un microcosmo organico che, pur essendo “forma”, non contamina la ricchezza originaria dell’infinito da cui viene estratta. Come un bicchiere di oceano pescato dalle acque più pulite e cristalline. E può accadere perché Tiziana Marini ha lavorato nel corso degli anni a una costante purificazione dei suoi canali spirituali e all’amplificazione delle sue “antenne ricettive”. I veri artisti non si appagano mai, la loro ricerca è sempre aperta, vigile, attiva: chi si ferma è perduto! Si percepisce infatti un percorso di affinamento e di approfondimento della coscienza, che ha gettato le premesse evolutive da cui le poesie sono sbocciate con la stessa naturalezza delle fioriture nei prati a primavera. Ogni composizione è, così, la nota intonata di un concerto: consuona e collabora all’armonia dell’opera globale. Ciò non toglie, com’è ovvio, che l’altezza degli esiti raggiunti sia poi anche il risultato di un preciso “corpo a corpo” con le singole parole, ma acciocché il “labor limae” sia efficace occorre che l’intuizione iniziale della poesia abbia saputo cogliere felicemente un lampo di rivelazione, altrimenti la poesia è – diciamo così – “stonata” in partenza. Qui sono entrate in gioco una serie di circostanze rare a verificarsi, così favorevoli (per allineamento energetico tra “dono” e gestione dello stesso, cioè tra intuizione e ragione: quella mescolanza ben dosata di natura e cultura che rende sempre talentuosa e speciale ogni forma d’arte) da rendere straordinaria e non facilmente ripetibile la bellezza che splende nei versi.   

Complimenti davvero, e vorrei iniziare il mio personale itinerario tra le molteplici “inclinazioni” di un libro così alto con la tonalità “francescana”, ricca di amore incondizionato per il creato, da cui sgorgano alcuni versi che risuonano in me particolarmente suggestivi. Il lettore ricorderà, da “A mia moglie” di Umberto Saba, vv. 13-14: «i sereni animali / che avvicinano a Dio». Ebbene, era dalla lettura del Canzoniere sabiano che attendevo di imbattermi in qualcuno con la capacità e, diciamolo pure, il coraggio di affermare la purezza sacra degli animali. Ed ecco finalmente Tiziana Marini, nella terza composizione tra quelle dedicate in memoria del gatto Fusino: «Rubo i giorni al sole per la tua corona / e già vedo in te un piccolo santo / da pregare». Chiunque abbia o abbia avuto confidenza affettiva con una bestiola adorabile come Fusino sa bene di che stiamo parlando. Li adottiamo con infinito amore per un tratto purtroppo breve della nostra vita, e li sentiamo a tutti gli effetti come “figli”. Chi non li ha o non li ha avuti, difficilmente potrà capire. Il “coraggio” nasce dalla decisione di esporsi alla derisione, e dunque alle critiche di chi – e sono molti purtroppo – considera gli animali esseri inferiori, trascurabili, incomparabili (per difetto) al bipede umano, dimenticando così che anche noi siamo animali (ma della peggior specie) e avvertendo inevitabilmente come ridicole le esternazioni commosse di chi li ama e li tratta “alla pari”.

Tutto questo per cominciare a significare che “L’inclinazione di una foglia alla luce” implica – e peraltro suggerisce fin dal titolo – una trasformazione spirituale dello sguardo, ovvero un salto evolutivo della coscienza normalmente condivisa. Anche per questo credo sia una delle opere di poesia più intense e riuscite che io abbia letto negli ultimi anni. Scrive André Gide ne “I nutrimenti terrestri”: «L’importanza sia nel tuo sguardo, non nell’oggetto su cui si posa». E infatti la poesia è anzitutto questione di sguardo: ad esempio guardare la notte «nel modo giusto / finché diventa giorno»; oppure leggere amore nel cielo stellato, che invece parrebbe a tutta prima quanto di più mostruosamente freddo, inospitale e inconcepibile ci sia dato contemplare. La “rivelazione” splende secondo una certa inclinazione alla luce: dell’oggetto e dell’osservatore. «Sia ad ogni istante la tua visione nuova», continua Gide. E affinché accada questo, lo sguardo deve “covare” lo struggimento del tempo e il doloroso amore della bellezza. Tiziana Marini scrive: «Nella cova del mio sguardo tra pena e tenerezza / come per un animale buono, deriso».     

Occorre sprofondare nei segreti della realtà, anche nelle pieghe dell’aria, negli angoli nascosti, negli spazi minimi, fino all’«ultima stanza» del percepibile, fino ad avvertire ogni sensazione come «presenza infinita» di echi che si allargano dal particolare all’universale: «come riconoscere una trama / da un’unica parola». La tela della poesia (e quindi dello sguardo da cui distilla) è «sudario paziente» che include la totalità dell’esistente, anche ciò che ogni amore esclude. Un verso come ad esempio «abbracciami negli occhi» è emblematico di questa inclusiva totalità da cui fermenta e distilla l’altezza direi anche etica del libro. Per sintonizzarsi appieno con le sue istanze è necessario muovere verso un grado “altro”, cioè diverso e superiore, di consapevolezza evolutiva («da impronta a impronta / di vita in vita / fino a me, dopo di me»), entrando in risonanza con l’intensità spirituale grazie a cui – come scrive Cristina Sparagana nella breve e fulminante Introduzione – «le stelle parlano, le foglie sono uccelli che stormiscono, le rondini ci porgono un vago, tenero sema apocalittico». Ci si riconnette, allora, con la grande lingua dimenticata, l’alfabeto cosmico primordiale che torna dall’Oceano di Tetide e si manifesta anche in questo preciso istante con le parole-essere delle cose, “sentite” per osmosi.

La vocazione pan-linguistica del libro si evince anche da certi titoli delle composizioni: ad esempio “Pentagramma terracqueo” o “L’alfabeto e il cielo”. È una realtà nascosta dietro i fenomeni e vive nello spazio del «vuoto-origine». Ecco così le foglie che «suonano tra loro parole fitte», e l’identità soggettiva che trasumanando nell’ascolto e nella contemplazione può arrivare a sentirsi come «la foglia-uccello / che impara dal suo volo». Le parole, scelte con estrema cura da Tiziana Marini, ci danno conto di un cosmo di infinita circolarità, percepito come metamorfosi. E anche di una dimensione organica (scrive a un certo punto di «prato-scrittura») che si raggiunge diventando le cose che si pensano e percepiscono: «La mia solitudine / la stessa delle pietre / degli alberi, delle fontane antiche». Naturalmente occorre fare i conti con la corta favella del linguaggio umano: le cose sfuggono alle parole, magari per scarti infinitesimi, come ad esempio «la luce che a dirla non rende / ma è vera luce». Eppure il poeta avanza lo stesso nel cuore della vita, dove affonda «come la radice di un albero / quanto tocca ciò che fu vivo / guidata dalla tenerezza». La capacità di oltrepassare, come fa il vento, il dono del presente – fino ad immaginare «un tempo senza noi / com’era prima» – non esime il poeta dalla possibilità e direi dalla necessità di affrontare il sentimento-sedimento del tempo: dal «minuto / che la luce aggiunge al giorno» dopo il 21 dicembre, al corrispondente fenomeno inverso dopo il 21 giugno («c’è ancora luce, ma già meno di ieri. / L’avresti detto a luglio?»), ovviamente considerando l’emisfero boreale. Il passato contiene tutto il futuro, e il presente tutto il passato, per cui «Ogni giorno è il primo / dei restanti / ogni minuto è già domani» così come «le ombre hanno la luce dei giorni / passati». Appartiene al poeta lo sprofondamento della superficie che lo porta a «precipitare nel diaframma / del quotidiano addio alle cose / anteprima della morte», poiché sa bene che la vita è un processo infinito di morte e rinascita, è «il vuoto di un bosco arso / che rinasce a sorpresa / per una radice salva / per un seme casuale».

Fare poesia nasce da un «grumo d’introspezione» che oltrepassa la scansione lineare del tempo spezzando le barriere, il «limite imposto dalla logica». Ma nasce anche dal «gesto umano / della comprensione» e dal rispetto della rerum natura, coi suoi cicli di semina e di «messa a dimora». Il poeta amministra nel suo rito la «cerimonia della solitudine» (come quella che celebrano gli astri palpitanti nel cielo) per suonare il «pentagramma / terracqueo del cuore» mentre ascolta nelle profondità del silenzio il «brusio sincrono del mondo» e avverte l’energia cosmica andamentale, l’impulso che muove il divenire mentre le cose «vanno nell’aria come onde di luce». La parola trasforma il mondo e costruisce universi: «tutto si muove già nella parola / da quella semplice a quella più complessa». Possiamo spostare il cielo con la sola forza dello sguardo e del pensiero. L’osservatore influisce sul fenomeno osservato, lo ha dimostrato la fisica quantistica ma lo sappiamo anche per esperienza ultrasensibile. «Pensa agli alberi / mentre li guardi cambiano colore». La poesia comincia dove si apre il regno dell’Ignoto: «Da qui iniziano i fantasmi». E dunque sentire i richiami sottili, riconoscere le cose «per misteriosa vocazione», avvertire la «fibra d’ombra / sfuggente ai più», e insomma collocarsi – per trasmutazione metafisica – entro il reticolato di una geografia invisibile che in realtà sostiene la facies visibile e “normale” delle cose apparenti.

Di conseguenza il poeta è sempre impegnato ad attaccare «le rughe / alle mancanze» di ciò che non è più, di ciò che non è ancora. Sua è anche la ferita del possibile, nel richiamo di «un’altra vita / quella dimenticata e persa / quella che avrebbe dato altri frutti / a viverla». Ecco quel particolare struggimento, la «trafittura dolce» che ci recano i versi: niente come la poesia dona la «soddisfazione / di soffrire dolcemente per il tempo passato / e per quello futuro». Lo sguardo poetico di Tiziana Marini è una «lacrima-lente / che ingrandisce gli spazi» per togliere gli ostacoli da cui è impedita la visione del vero. Questa lacrima si scontra con l’indifferenza feroce del mondo, non solo gli uomini ma anche e soprattutto la natura: ad esempio «quel punto del mare / che inghiotte ed è un olio / quando si richiude / come se niente fosse» (dove riecheggia naturalmente, dal XXVI° Canto dell’Inferno, «infin che ‘l mar fu sovra noi richiuso»). Al meccanicismo spietato che regola la vita su questo pianeta e il divenire del cosmo, noi opponiamo la forza del nostro disperato eppure, e quindi «Diciamo ora amore, senza aspettare». La scrittura nasce dalla preliminare accettazione delle fragilità, delle imperfezioni, delle preziose cicatrici. È il mastice dorato che incolla le fratture, è il «filo che trapassa / la cruna delle stelle», è casa, rifugio sicuro, «conchiglia eterna». Salva «ciò che sta sul palmo / un frammento, un grido». È suprema compensazione e ricomposizione dei destini, grazie a cui «ogni cosa va al suo posto»:

Resto con la penna-aratro
aggiustando le cose
in un epilogo misterioso
di uguaglianza. 

Questo libro ci ricorda intensamente che il mondo è interconnesso nella trasformazione perenne delle energie, per cui «non tutto muore / se lo ritrovi in un fiore / nel sapore dell’acqua / o in un volto». Il profondo è circolarità tra basso e alto: «un seme spaccato sul germoglio / come un taglio nel cielo». Anche il tempo è legato all’eternità («Penso che qualcosa di eterno si compia / ad ogni tuo gesto») e anche il nostro destino lascia contemplare in trasparenza una «misura / di cielo». Certo, il dolore è congenito, poiché «c’è distacco ad ogni metamorfosi», ma il poeta si sente chiamato (e chiama a sua volta) a una instancabile trasmutazione alchemica di senso contrario: «Prendiamo acqua dalla sabbia e facciamo / luce di resurrezione». Dobbiamo strappare «briciole al tempo» anche se il sapore è avvelenato dalla fine. Tutto chiede udienza al poeta, e il poeta ascolta e accoglie questi appelli, accettando di dare voce all’insolito, alle «minuscole memorie», a ciò che dimora o passa nelle più segrete pieghe degli istanti. Anche e soprattutto i fotogrammi labili e sfuggenti, come ad esempio le «ali di uccello nello specchio d’acqua / del sottovaso quando ha piovuto tanto».    

La dura legge della vita impone il continuo addio a persone, animali, oggetti, situazioni: tutto è destinato a scomparire. «Non c’è niente da fare / le cose si allontanano / per quanto strette / e non basta dire ci sarai / per sempre». Dove finiscono i morti e le loro consuetudini, l’essenza dei loro giorni terreni? Nella «parte primitiva» di chi li ha amati. L’essere umano ha la facoltà di sentire lo spazio attraverso le pareti, di immaginare il cielo attraverso i soffitti delle stanze, di esplorare il vuoto che ha sostituito la presenza fisica del corpo. E qui, per concludere, possiamo tornare all’amato Fusino: «allungo spesso la mano / sulla curva sottile dell’aria / dove ancora ti vedo / e ti accarezzo». La Poesia è quella dimensione percettiva dello spirito grazie a cui la forma invisibile del gatto, cioè la sua “presenza sottile” nel vuoto, finisce per essere più reale e vera dello spazio che occupava il suo corpo materiale. Capire e credere questo segna il confine che divide ma anche unisce il mondo della vita da quello dell’arte, ed è proprio qui che si incardina la differenza culturale che ci rende umani.   

Marco Onofrio

 

 

lunedì 10 giugno 2024

L'inclinazione di una foglia alla luce (Ensemble, 2023) nella recensione di Valerio Mattei

 








Tutto è luce. Non esiste nulla che non sia portato in materia su ali fotoniche. Sembrano frasi di un anime di metà anni Settanta, tipo Goldrake, ma è pura fisica quantistica. La stessa grazie a cui abbiamo appreso che un elettrone può trovarsi contemporaneamente in più posti, in più stati energetici simultaneamente. E soprattutto abbiamo imparato che la variabile in base a cui l’elettrone sceglie dove, come, cosa e quando “essere” non è la mano di un Dio, Principio Creatore imperscrutabile, barba bianca e fulmini alla mano, ma molto più banalmente (in apparenza) il nostro sguardo. Che poi è la stessa cosa – barba e fulmini a parte – dal momento che noi siamo in effetti portatori, radici e frutti di questa Divina Presenza, Scintilla Creativa, e che l’Eterno e l’Infinito ci abitano da sempre e per sempre. Roba da poeti? Non più in via esclusiva. Oggi è sempre più anche, come dicevo, roba da scienziati. Lo sa bene Tiziana Marini che nel suo “L’inclinazione di una foglia alla luce”  lascia trasudare con mano mite e cuore immenso tutta questa conoscenza in soffici parole intrise d’amore. Al contrario di quanto Lei stessa sostiene in “La parola che dura”:

 

La parola non basta all’amore.

 

Dice bene, certo, l’amore si fa, non si dice o almeno non soltanto. Ma questo non vale per Tiziana Marini, autrice di grande struttura e di enorme spessore culturale, umano, artistico. Tutta la Sua opera, ogni Sua parola trasuda amore e ovviamente luce. Amore per la vita, per il semplice fatto di esistere, di ringraziare, di danzare, di volare leggeri anche sui fatti più dolorosi. Per poi capire che questi ultimi non sono mai un male/male ma un male/bene, una svolta escatologica, un catapultarsi infinito e infinitesimale verso orizzonti di rinnovate maturità in ogni stagione della vita, in ogni “Anniversario”:

 

Ma la trafittura

Dolce della certezza

La spina del bene che mi vuoi.

 

Se tutto è transitorio, come fotogrammi di una pellicola, se è vero che (VII)

 

Non c’è niente da fare

le cose si allontanano

per quanto strette

e non basta dire ci sarai

per sempre.

 

…allora Tiziana Marini deve avere trovato, forse senza accorgersene (!), la Via Maestra, la Grande Autostrada del Cielo, novella Iside (“L’ora di Khepri”) e versione femminile di quello stesso Orfeo citato indirettamente e sibillinamente in componimenti di gelida, struggente bellezza come “I”:

 

C’è distacco a ogni metamorfosi.

Ma dal fuoco la cenere

restituisce

ombre filiformi di fiori

 

Tutto questo per donare nuova vita a ciò che sembrava perso, in uno sfilare, etereo e leggiadro di versi che si fanno immagine, grazie a questa Luce che davvero sembra attraversarci come lame che penetrano, dolcissime, diafane istantanee di vita, rese come sempre ingioiellate dallo scorrere (illusorio anche questo) del tempo, fino a che la loro bellezza non ci fa sorprendere in apnea. È questa apne
a magica, questa irripetibile occasione di frattura nella percezione del continuum spazio-temporale, il dono inestimabile che la Poesia ci offre, soprattutto quando il Suo lirismo è modulato da cuori elevati e raffinati come quello di Tiziana Marini, che ci regala (“Emoticon”)

 

[…] parole univoche

precise, oneste

per salvare un sorriso

altrimenti perso

per dire una poesia

che non resti dentro.


Valerio Mattei





Valerio Mattei, in arte Saman,  è autore, pianista/chitarrista, cantante e intrattenitore. E' autore del libro ''Lo sciamano (Edilet, 2019).  “SOS” è  il suo primo singolo e ''Alpha'' il suo primo album. Scrive di arte e letteratura.