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giovedì 30 settembre 2021

Fiori nel deserto di Atacama

 


Il Deserto di Atacama si e' miracolosamente ricoperto di fiori quest'anno... cosi' come  capita di tanto in tanto...Una fioritura straordinaria, rara... che tinge di rosa la terra arida in condizioni climatiche proibitive. Una fioritura che possiamo prendere come metafora della vita quando ci elargisce a sorpresa gioie inaspettate ... Il pensiero corre al bel libro di  Luis Sepulveda ''Le rose di Atacama'' (Guanda, 2000)...

venerdì 9 luglio 2021


 Nota di Tiziana Marini su   Cammina un poco con me di Paolo Carlucci.

A Pia e Paolo

                                                                                           

Colpiscono al cuore le poesie della plaquette Cammina un poco con me, che il poeta Paolo Carlucci ha dedicato alla madre Pia, ‘’Madre fiera e smarrita…’’, durante l’ospedalizzazione, che l’ha allontanata da casa in tempo di pandemia.

Colpisce l’avverbio ‘’poco’’, presente nel titolo, ma anche in molti testi di questa breve, ma intensa raccolta, percepito come unità di misura dello spazio/tempo di questo monologo, che in climax, assume il tono d’una preghiera, confessione, speranza e desiderio, inevitabilmente ridimensionato dagli eventi, di un possibile ritorno ad una quotidianità, che sembra, invece, fuggire via.

Scrive Carlucci   … io da poeta alla tua festa vengo: / in salute di versi m’accosto / a te, corda d’infinito, straziato / Amore; io che ora m’appoggio /alla tua vita solo un piccolo poco. e ancora: Dio non ascolta gemme chiuse alla luce. Colpisce la sincerità dei testi che nel loro insieme ben tratteggiano il carattere dei due protagonisti, eroi emblematici, loro malgrado, di questi tempi difficili, ma ancor più testimoniano la devozione e lo smarrimento del figlio unico, alla guida, tra mille difficoltà, della piccola nave-famiglia     Ora a stento ti seguo nell’impresa / cerco di proteggere e fare qualcosa / per te, sciolto coriandolo di memoria.

Poesie dunque di ‘’tempi malevoli e infetti’’, di solitudini da annullare con i gesti dell’amore …

il tuo vuoto riempio di carezze lontane… e poi in ascesa il verso   vorrei in ginocchio coprirti di baci, ma ancor più con le vecchie e irrinunciabili, semplici abitudini da riconquistare. A distanza la mia mano ti sarebbe faro / e il braccio ti darei per la camminata / che era nella giornata la tua attesa infinita: l’orologio del tuo attendere, io per te lancetta / di vita…  e infine di tempi di solitudine e incertezza ma, per fortuna, anche di abbracci ritrovati, sebbene nella consapevolezza che nulla potrà essere come prima in questo ‘’abisso scuro’’ dello spaesamento come nuova fragilità.

 ‘’Cammina un poco con me’’ è, in questo senso, il  “νόστος”, il periglioso viaggio del ritorno a casa per ritrovare, pur nel cambiamento, le piccole cose della quotidianità, quelle che danno equilibrio, forza e speranza, in un  percorso  costellato dalle insidie delle  ‘’nuove Sirene’’ quali virus,  mostri burocratici e tecnologici  e dure prove emotive.

Un “νόστος” nel duplice significato, omerico e joyciano, e quindi non solo distacco e ricongiungimento, ma anche discesa nelle profondità pelagiche del cuore e nella solitudine dell’isolamento dalla quale riemergere gradualmente, assaporando ogni piccolo dono di rinascita che viene concesso: la videochiamata, il primo incontro e il primo passo, l’abbraccio, il ritorno, ma non solo….

La plaquette è anche luce intensa del ricordo, un ricordo che Carlucci tiene acceso  per tenere vive identità e radici nel cuore della madre, ora che i ruoli si sono invertiti, ora che  tutto sembra sfumare.  Torna alla mente il bel libro di Tahar Ben Jelloun Mia madre, la mia bambina (Einaudi, 2007) in cui lo scrittore e poeta marocchino ricompone sotto forma di racconto i ricordi confusi della madre malata, come un dono d’amore nei suoi confronti.

E un dono d’amore sono infatti i versi in cui Carlucci racconta alla madre le sue origini venete.

E così ora il figlio unico di te / poeta, come un mago, fili / slacciando, riannoda vago cordame / il nostro tempo di ieri. / E per te slega macchie i ricordi / come onde del tuo fiume antico, / il tuo bel Piave vorticoso e grande, e il suo antico, quotidiano ruolo-guida in famiglia … 

Prosegue il poeta ricordando alla madre immenso cielo la casa, dove eri / regina e tuttofare. Leonessa che tremando ha lottato / e vissuto solo per il cucciolo che ha / svezzato piano alla vita. Da sottolineare, oltre alla profondità e alla bellezza del contenuto, urlo struggente a tratti delicatissimo, anche l’eleganza del verso tu mi sei all’infinito stella…, l’originalità della parola nel nuovo glossario della pandemia e della tecnologia …

Tutto per te farei se un poco / t’assomigliassi: amministratore, ma pratico disastro / io sono in questo tempo nuovo / insidioso, malato grave / di clicks e distanze…, oppure … Ed io di te mi faccio testimone / tra camici, guanti, mascherine / scopriamo nella protezione / la nostra invisibile fortezza

Son dunque questi gli elementi forti, autentici della poetica di Paolo Carlucci, che rendono i testi di questa silloge profondamente vibranti ed emotivamente coinvolgenti.

Riporto, in conclusione, una poesia che esemplifica l’intensità, i colori degli stati d’animo di Paolo.

 

 Vetta d’amore l’abbraccio


Madre, gancio estremo di vita,

è ora nello sguardo la parola

vetta d’amore l’abbraccio.

 

Reggia di segreti il cuore

nostro nella catastrofe

intima del tuo tramonto.

 

Tu che davvero sai, nella nebbia

chiarissimo il mio bene assoluto

racconto al tuo viso il mio andare

lento alla deriva…

 

Madre, è croce di pena il giorno,

l’insidia, il deserto dell’estate

ora mi soffoca rogo vuoto il mare

ruga di salsedine tra spese e mail:

l’età adulta e triste del figlio unico

amministratore imbranato di te,

perso tra contratti e sogni…

13 giugno 2021

 

                                                                                                  © Tiziana Marini             

mercoledì 23 giugno 2021

La poesia di Mark Strand

                                            Blue Moon (Ph Tiziana Marini)
 

I

Nella notte senza fine, nell’oscurità che ci impregna,
indosso un abito bianco che riluce
tra le foglie cadenti, nere, tra le

lune dei lampioni coperte di insetti.
Cammino tra alberi smeraldo
nella notte senza fine. Attraverso

la strada e scompaio dietro l’angolo.
Riluco nell’attraversare il parco verso
la stazione dove aspettano gli altri.

Fra poco percorreremo l’oscurità incommensurabile
e muta, dove fuochi ci guidano sul terreno amaro
della notte senza fine. Indosso

un abito che fa impallidire la luna, che è puro
splendore quando arrivo alla stazione dove gli altri
sussurrano, dicono che la luna

non è un ostacolo superiore ad altri,
che, se qualcuno soffrisse, si potrebbero ottenere ali
in cambio di una canzone o di braccia, che le norme

della terra valgono ancora per chi è in partenza,
che è assai meglio esser pronti, perché la cenere del corpo
non vale nulla e più in là di tanto non arriva.

*

II

Ti scrivo da un posto dove non sei mai stata,
dove i treni non passano, gli aerei
non atterrano, un luogo a occidente,

dove spesse siepi di neve circondano ogni casa,
dove il vento ulula al volto vuoto della luna,
dove la gente è semplice, e le mode,

quando arrivano, arrivano tardi e sono viste
come forme di oppressione, fonti di scontento.
Questo è un posto che un po’ si accende alle 7 la sera,

poi si spegne, e scivola nella camera ardente
delle stelle, e tutti sognano di librarsi
come angeli in vesti fragranti,

di venire sollevati dalle varie incombenze
e godere dei piaceri a disposizione di chi li chiede –
giorni come pagine strappate a un album di famiglia,

rimpatriate senza fine, il coro celestiale intorno alla grigliata
che si modula al tono dell’occasione,
e tutti che guardano fisso, attoniti d’immenso.

Mark Strand

Mark Strand, “Tutte le poesie”, Mondadori 2019, a cura di Damiano Abeni e Moira Egan






Mark Strand (1934-2014 ), nato a Summerside, nella Prince Edward Island (Canada), e' stato uno tra i piu' importanti poeti  statunitensi. Insegnante  di Inglese e letterature comparate alla Columbia University, visse a New York.  Tra le sue opere ricordiamo Uomo e cammello e  L'uomo che camminava un passo davanti al buio.  Ha ricevuto numerosi premi tra cui il Pulitzer per la raccolta di poesie Blizzard of One. In Italia, oltre a tre plaquette per le Edizioni  L'Obliquo sono uscite due antologie delle sue poesie (L'inizio di una sedia, Donzelli 1999; Il futuro non è più quello di una volta, Minimum fax 2006), un volume di scritti d'arte (Edward Hopper - Un poeta legge un pittore, Donzelli 2003) e la favola Il pianeta delle cose perdute (Beisler 2002).


martedì 16 febbraio 2021

''La tempra dell'autunno'' di Andrea Mariotti


 

‘’La tempra dell’autunno’’  (Bertoni, 2020) di Andrea Mariotti. Una  nota di Tiziana Marini



‘’La tempra dell’autunno’’ (Bertoni, 2020) è la nuova raccolta di poesie di Andrea Mariotti, una raccolta nella quale l’autore riversa con slancio ed elegante misura l’uomo e il poeta che con precisione vengono qui  a coincidere. Bello il titolo che trova in una stagione considerata ‘’a scalare’’ in forza, bellezza e vitalità, una ‘’tempra’’, ossia un carattere robusto e forgiato, sorprendentemente intenso, creativo e propositivo, che è ben lontano dagli stereotipi. Per chi ha letto ‘’Scolpire questa pace’’ (Tracce, 2013), la raccolta  precedente dell’Autore,  questo testo ne apparirà come l’evoluzione naturale, in quanto ne riprende i temi principali, sebbene alla luce di nuovi stati d’animo,  ma anche come un testo del tutto autonomo, considerando la distanza temporale fra le due scritture.  In ogni caso sia  per i vecchi che per i  nuovi  lettori, il libro costituirà un itinerario da percorrere, in cui i luoghi cari all’Autore diventeranno pian piano i ‘’luoghi’’ di tutti. La silloge si divide in quattro sezioni / stati d’animo, più una poesia finale che, a mio parere, per la sua compiutezza e per  il significato di approdo e pacificazione che la connotano,  rappresenta a tutti gli effetti quasi una sezione a sé stante  e comunque  un ‘’punto in fieri’’, momento di arrivo e di  partenza verso nuovi percorsi. Le sezioni sono: Poesie ritrovate, Sciolti, Apollo e Dioniso, Intrecci e, dunque, per i motivi esposti, Finale , costituita  dalla poesia  ‘’Sonetto ottobrino’’. Tutte le sezioni sono  unite  coerentemente e organicamente dai motivi cari al poeta, quali  la natura, l’arte, la musica, i sentimenti, il viaggio inteso come costante escursione, scoperta faticosa e ricerca continua della bellezza e dell’armonia, fuori e dentro di noi, modulate e filtrate dal suo sguardo acuto e circolare sull’attualità, con quel l’ attitudine al lavoro  da artigiano che lo contraddistingue, sia esso scultore, come nell’opera precedente, o fabbro che tempra il metallo come ci suggerisce il titolo della raccolta attuale. Mariotti è  dunque un artigiano che continuamente forgia, scolpisce e tempra con gli strumenti dell’ ironia, ma più spesso   con l’amarezza e la malinconia che nascono dall’osservazione,  la sua visione  del mondo, un mondo che mette a dura prova ogni certezza. Eppure la  fiducia di Mariotti  nella Natura è completa  ( ‘’La montagna / riconosce chi sale fiducioso / e paziente / accogliendolo materna’’) anche quando il Vento, potente metafora e protagonista in qualche misura della raccolta, scompiglia  gli equilibri   (‘’…i venti tiepidi / di cresta lo scacciano, / il tossico del sangue…’’), così come è totale la fiducia nell’Arte, nella Bellezza, nella Musica di cui il poeta è appassionato fruitore,  e nella Letteratura ‘’che riscalda…’’ tanto da considerarle rifugi salvifici da una realtà che lo è sempre meno. (‘’io crescevo sotto l’ala / della Letteratura che riscalda / quest’oggi un uomo in sentore d’autunno. / Vivere voglio nel silenzio d’oro / dei libri vuoto il mondo d’ogni senso’’).  Ma in  questa raccolta nessun luogo e'  accennato in modo approssimativo,  ognuno di essi ha il suo nome ed  e’  protagonista in una  toponomastica del cuore che diventa Memoria.  Cosa può infatti  dare più  emozione e serenità all’anima del contemplare   le cime innevate d’Abruzzo con la Camosciara, le pietre rosa del Subasio, le Dolomiti con la Marmolada , il Velino (‘’…chè, dopo cena, guadagnavo in fretta / e furia quel poggiolo per mirare / di suprema bellezza il tuo rossore, /  i boschi in basso vinti già dal buio…’’) o del ricordare  le chiese  di Sant’Onofrio e Sant’Isidoro e  le vie dell’amatissima Roma (‘’Eccomi in Via Veneto, finalmente! / le Virtu’ del Bernini / in Sant’Isidoro trepide mi attendono…’’), o semplicemente un museo? (‘’Dall’Ermitage di San Pietroburgo /  fin qui viaggiato avete, / della  Bellezza simbolo immortale! / delizia agli occhi / calore all’anima / destate, o Grazie, attonito mirandovi…’’). Cosa più di un luogo intriso  dei teneri palpiti per l’amata?  (‘’ ...i nostri occhi posati sul sepolcro / del Tasso nell’interno della chiesa…’’)  La risposta è immediata.  Ovviamente nulla, anzi, questa bellezza può essere uno scudo, una difesa e soprattutto una risposta  alle brutture del mondo reale (e alla superficialità di quello  virtuale),  come  l’attualità con le sue ingiustizie, incongruenze e contraddizioni purtroppo ci ricorda (‘’Ribolle  ancora il mar Mediterraneo / ignorando la tempra dell’autunno…’’ oppure  ‘’Crollato il Ponte Morandi, di Genova / vanto.  Lo schianto al cuore di un paese / da troppo tempo preda dell’abisso’’ e ancora ‘’…chè di nuovo il diciassette / scorso fumo acre da Castel Fusano, / quello del Duemila pressappoco /……Straziata la pineta o maledetti / asfaltatela bene e buonanotte!’).

 I versi di questa raccolta sono musicali e armonici,  siano essi  quartine, sonetti, endecasillabi o versi sciolti,  frutto di un costante e consolidato modus operandi dell’Autore, legato, pur nella sua originalità, alla vena più classica della nostra poesia. Mariotti punta sempre con il suo labor limae,  all’essenzialità, alla  coerenza e alla chiarezza di forma e contenuto,  oggi più che mai  necessari in quanto l’Autunno, in tutte le sue modalità,  va inteso qui certamente  come stagione e come età della vita, ma anche come colore di un momento storico contingente e proprio per questa sua duplicita’ richiede  estrema chiarezza, diventando il tempo della riflessione, del cambiamento, di un primo sfumato  bilancio da un lato, ma anche,  dall’altro, il momento della libertà di potersi esprimere, di poter esternare senza finzioni o dubbi il proprio sentire, sicuramente con pudore e misura, ma anche con grande rigore, lucidità e fermezza, così come nella poesia finale ‘’ Sonetto ottobrino’’ che si apre ad un profondo sentimento di dolcezza declinato al futuro laddove  scrivendo  all’amata, l’Autore dice  ‘’…con te burlarsi dei fantasmi miei / mi fa sentire lieve e incline al riso /e a forza d’aver caro il tuo bel viso, / saprò accettare il tempo dei tuoi nei…’’ e conclude ‘’…Ma dolce è questo palpito autunnale!’’. L’importante  è, come afferma nella bella introduzione alla silloge  Vanalesti, ‘’ritrovarsi nel mondo, capire il proprio ruolo’’, ora più che mai, superando le banalità del nostro tempo. Se dunque da un lato Mariotti  sente quasi con prepotenza la necessità di appartarsi, fuggire un mondo sempre più ostile, per rifugiarsi  fra le ‘’cose’’ buone e certe, quali l’arte, lo studio e i libri, cose che in realtà non chiudono ma al contrario predispongono e aprono  l’anima  alla comprensione, dall’altro, proprio per questo, guarda  a nuove stagioni della vita,  temprate dall’attuale esperienza, in un autunno  che sa di primavera.

Tiziana Marini

 


GIANICOLO


Dalla  chiesa di Sant'Onofrio lungi

il Velino sembrava un drago candido

adagiato nell'ozio... quella luce

inattesa e irreale di domenica

scorsa a blandire Roma ridestata!


i nostri occhi posati sul sepolcro

del Tasso nell'interno della chiesa:

l'umile marmo che solo parlo' 

al cuore di Leopardi raggelato.

Poi di nuovo all'aperto tu ed io, intrisi

di quella luce adamantina e scevri

di colpe, in festa, a galleggiare uniti.



LA TEMPRA DELL'AUTUNNO


Tripudio di colori offrite in dono

o cittadini alberi, voi funesti

l'ottobre scorso agli uomini e alle cose;

mentre i vostri fratelli risonanti

venivano mozzati dal ciclone

nelle foreste delle Dolomiti.

Ribolle ancora il mar Mediterraneo

ignorando la tempra dell'autunno;

e venti e trombe e grandine e alluvioni

sul Belpaese piombano furenti,

come un amore sfigurato e cieco

capace infine di schiacciare il guscio

degli attimi trascosi in armonia.

Gli strali dell'amore sono spasmi

di viscere feconde di responsi,

in me tranquillo e finalmente intero.


(Andrea Mariotti - da ''La tempra dell'autunno'' (Bertoni, 2020)



Andrea Mariotti, poeta e saggista, e' nato e vive a Roma, dove  ha conseguito la laurea in Lettere Moderne presso l'Università la Sapienza con una tesi sullo Zibaldone. La sua prima raccolta di poesie e' ''Lungo il crinale'' (Bastogi Editrice Italiana, 1998), seguita da  ''Spento di sirena l'urlo'' (Ibiskos Editrice Risolo, 2007), Scolpire questa pace (Edizioni Tracce, 2013),  e ''La tempra dell'autunno ( Bertoni Editore, 2020) Le sue poesie, presenti in numerose riviste di letteratura, hanno ricevuto prestigiosi riconoscimenti. Ha inoltre  collaborato con la rivista letteraria ''I fiori del male''.

domenica 24 gennaio 2021

Italian Poetry - La Peste, antologia di poesie sul coronavirus.






http://www.italian-poetry.org/blog/






Nell'ultima stanza



Abbracciami negli occhi

come fioriscono

i meli esplosi con la neve

ora che è inverno e si muore

facilmente.

Una madre senza nome

senza volto mi tiene

tra i rami d'ospedale.

Mi consegna dolcemente

alla morte.


Tiziana Marini




In the last room



Hug me in the eyes 

just like bloom the apple trees 

exploted with the snow

now that it's winter 

and we easily die.

A mother without name

without face holds me

among the branches 

of the hospital.

She delivers me to death


(Trad. Tiziana Marini)







''Gabbia no'', poemetto collettivo ai tempi del Covid

 

"Gabbia no" (Ed. Progetto Cultura, 2020) non è un’antologia ma un lavoro collettivo in endecasillabi e terze rime; è quindi a modo suo un momento di rottura e anche di riconciliazione.  Durante il periodo del lockdown 33 poeti si sono dati appuntamento, novelli protagonisti di un Decameron,  nella piazza del web per raccontare insieme, ma ognuno con la propria voce, la paura, la solitudine, la speranza.

GLI AUTORI

Lucianna Argentino | Maria Letizia Avato | Marzia Badaloni | Marco Belocchi | Duska Bisconti | Alessandra Carnovale | Cristiano Maria Carta | 
Tiziana Colusso | Paolo Cordaro | Carla De Angelis | Vinicio Salvatore Di Crescenzo  | Angela Donatelli  | Claudio Fiorentini  | Renato Fiorito  | 
Ludovico Fulci | Marco Limiti | Dante Maffia | Serena Maffia | Tiziana Marini | Maurizio Mazzurco | Anita Napolitano | Fabrizio Oddi  | Paola Oliva | 
Lorenzo Poggi | Luciana Raggi | Tullia Ranieri | Irene Sabetta | Fabio Sebastiani | Eugenia Serafini  | Ornella Spagnulo  | Antonietta Tiberia  | Laura Tommarello  | Michela Zanarella


martedì 13 ottobre 2020

''Le cose del mondo'' di Paolo Ruffilli, ovvero l'universo fuori e dentro di noi





 

''Le cose del mondo '' (Mondadori, 2019) è l’ultima raccolta poetica del poeta, scrittore,  saggista e traduttore Paolo Ruffilli, un libro frutto di un lungo cammino artistico e personale. Mai come oggi le ''cose del mondo'' ci sfuggono ed appare evidente e necessario recuperarle quali coordinate di individuazione  della nostra vita, una specie di geolocalizzazione   per mezzo della quale rivederne i percorsi e approntarne di nuovi. In un tempo di profonde mancanze sono infatti proprio  le ''cose'' e le relazioni che vi intercorrono a definirci ancor più per ciò che siamo, a renderci riconoscibili a noi stessi allorché cerchiamo per loro un posto e un significato nella quotidianità e li trasformiamo  in  punti di riferimento. Queste ''cose'' che costituiscono il mondo fuori e dentro di noi non sono solo oggetti, ma anche ricordi, desideri, sentimenti che, parlando di noi, cose fra le cose, diventano forme, idee, mezzo di conoscenza, la nostra ''anatomia'' e il nostro palcoscenico. Ci raccontano un mondo che esiste da e per noi ma anche senza di noi, tutte dispiegate, nei testi bellissimi della silloge, in un ritmico e musicale tempo presente, pragmatico ed eterno, come a voler dire che  ''le cose del mondo '' vivono anche oltre la loro inevitabile fine, oltre il loro destino, in un presente dilatato, denso e profondo, grazie alla parola poetica che dà concretezza, consolazione e conferisce, a suo modo, eternità per quella virtù, magica e rituale a un tempo, che ha in sé. 

Nelle sei sezioni che organicamente strutturano il libro in un compatto e solido canzoniere con innumerevoli livelli di corrispondenze e piani di lettura (Nell’atto di partire, Morale della favola, La notte bianca, Le cose del mondo, Atlante anatomico, Lingua di fuoco), le iniziali poesie improntate al tema del viaggio, lasciano gradualmente il posto  a quelle metafisiche dell'ultima parte per un processo di  interiorizzazione che è viaggio nel viaggio, diacronico e sincronico, un percorso epico di trasformazione,  in cui le cose del mondo aggiungono alla loro minuziosa concretezza, senza mai perderla, una certa astrazione,  valore al valore, tanto da diventare alla fine  simboli e dimensioni  psichiche universali  di ansie e paure,  di incertezze ed esperienze, di conflitti e contraddizioni, derivanti naturalmente dai grandi temi della vita e dai rapporti umani, senza destabilizzazione, ma con grande forza, sorretti da realismo, fiducia nella ragione,  ironia e musicalità del verso. Versi limpidi, originali, intensi e incisivi, dunque, misurati e accordati fra loro come le  partiture di un concerto.

C’è davvero tanta bellezza in questo libro, la consapevolezza dell’uomo e del poeta, le fragilità, la tenerezza del padre, l’entusiasmo, la voglia di conoscenza, le domande e anche il disincanto che deriva dalla comprensione, insomma, per concludere questa breve lettura, nei versi di Ruffilli, c’è tutto quello che vogliamo dalla poesia.

 

 

Paolo Ruffilli è poeta e saggista, collaboratore di pagine culturali e consulente editoriale. Tra le sue opere ricordiamo: La quercia delle gazze (Editrice Forum, 1972), Piccola colazione ((Garzanti, 1987), Camera oscura (Garzanti, 1992), Diario di Normandia (Amadeus, 1999), La gioia e il lutto (Marsilio, 2001). E’ inoltre romanziere e traduttore, ricordiamo i saggi  su Ippolito Nievo e Goldoni e le sue traduzioni di Gibran e Tagore. Le cose del mondo e’ la sua ultima raccolta di poesie (Mondadori, 2019)

 

 

 

Nel porsi in viaggio, prese le distanze

e tutte le misure per quello che si può,

considerato l’angolo di fuga, l’impulso

di deriva andante dentro il vuoto…

la curva sghemba della deiezione,

lo scarto imprecisato del destino.

All’imprevisto che e’ legato al moto,

la ragione ha imposto antidoto

di linee rette: orari, termini, binari.

Contro i rischi dell’ignoto.

 

 

Eccolo, il nome della cosa:

l’oggetto della mente

che e’ rimasto preso e imprigionato

appeso nei suoi stessi uncini

disteso in sogno, più e più inseguito

perduto dopo averlo conquistato

e giù disceso sciolto e ricomposto

rianimato dalla sua corrosa forma e

riprecipitato nell’imbuto dell’immaginato.

 

 

La parola

 

Ha filamenti lunghi la parola,

radiche chiare e barbe nere

che pescano nell’utero del tempo

tra le melme di quel limo viscerale

che ha dato soffio e corpo musicale

alle cose ancora sconosciute

richiamandole come fuori da se stesse

dentro il ritmo franto cadenzato

di quel tutto tuttità che è strabordante

fuoco liquido eruttato dentro ognuna

riplasmata e singola entità.

 

 

Il nominare chiama e, si,

chiamando ecco che avvicina

invita ciò che chiama a farsi essenza

convocandolo a sé nella presenza.

E’ la ragione che si fa linguaggio

volto a spiegare perfino il sentimento,

musica interiore che su da sotto sale

e consegnandosi all’urto materiale

delle precipitose scaglie ondivaghe sonore

parla del suo scontrarsi per domarla

con la resistenza delle cose.

sabato 3 ottobre 2020


 



Il tempo di un pane


E' giunto il tempo di lasciare l'ombra

all'abitudine

di rifugiarsi in lei

di allenare le mani alle assenze

alla carezza che trasforma il vuoto in te.


Vai che si fa sera presto

e le spighe durano il tempo di un pane.


Tiziana Marini  da ''La farfalla di rembrandt'' Ensemble 2019



The time of a bread

It's time to leave the shadow

to the habit

to taking refuge in her

and training your hands to the absences

to the caress that  turns the void in you.


Go, it's evening soon

and the ears of wheat

last the time of a bread.


Tiziana Marini  from The Rembrand butterfly, Ensemble 2019t




domenica 30 agosto 2020

La Costiera Amalfitana, uno dei luoghi piu' belli al mondo...

Alcuni scatti di Roberto Guglielman che mi ritraggono  a Sorrento e Positano



E di seguito alcune immagini della Costiera fotografata da me...
 La Costiera
Positano





















                                                                                                                                                                                                                                                         Il Vesuvio da Vico Equense