martedì 3 dicembre 2024

''La compagnia delle oche'' di Natalia Stepanova, una salvezza condivisa nel giardino-metafora della vita

 


Nota di lettura di Tiziana Marini  per  ‘’La compagnia delle oche’’ di Natalia Stepanova (Ensemble, 2024)

 

La nuova silloge ‘’La compagnia delle oche’’(Ensemble, 2024) di Natalia Stepanova  è un intenso racconto in poesia, scritto negli anni dolorosi della pandemia, un dipinto animato, ambientato in un giardino che è  hortus conclusus e locus amoenus al contempo, ben separato dal locus horridus circostante del quale comunque avverte gli echi. Questo giardino, luogo e dimensione allegorica dell’esistenza, soggetto alle leggi del Tempo,  delimita l’universo poetico della Stepanova,  con  le oche del titolo in primo piano, incarnazione  della dimensione etica e  sociale della raccolta, con la  rosa coprotagonista, simbolo di rinascita continua e con il Genius loci, nume tutelare ed essenza spirituale del luogo, rappresentato dalla stessa poetessa, io narrante e immagine riflessa e riflettente che tutto assorbe ed emana. E’ quello della Stepanova un giardino del Tempo e delle  Stagioni, un microcosmo che muta eppure immobile, abitato dai cari  Animali della vita domestica e selvatica, dai fiori, dal Vento, dalla Gioia, dal Dolore, dalla Vita e dalla Morte, dall’Attesa e dalla Speranza, un luogo dove pregare ed esprimere al Signore la  propria gratitudine anche quando l’inverno e la malinconia invadono l’ anima, un luogo sacro, abitato dagli Angeli, specchio  della vita nei suoi mutamenti stagionali e percettivi,  espressione della religiosità del creato e della sacralità del Pane  e del Vino,  un rifugio sicuro,  tra delizie e tormenti.

Addentrandoci nella narrazione poetica possiamo analizzarne i vari elementi. In primis, ovviamente,  il giardino, con tutte le caratteristiche esposte precedentemente, di hortus conclusus contemporaneo,  topos che affonda le sue radici  nel mito biblico  e classico, da Omero a   Virgilio,  da Dante a Petrarca e  Boccaccio, da  Milton a  Bosch, o ancora, luogo dell’anima, da Virginia Woolf a Emily Dickinson e Monet, un luogo non solo  reale ma anche  spirituale, individuale e collettivo,  e quindi   archetipo, non solo di pace e bellezza, manifestazione  della perfezione della Natura in tutte le sue dinamiche, ma anche universo di valori eterni.  Scrive la Stepanova: . ‘’Il mio giardino/è tutto il mio mondo,/solo qui io posso/respirare senza/rendere conto/a nessun altro/che non siano i fiori’’. Lo sguardo quotidiano della poetessa, dunque, nel seguire l’andamento cronologico delle stagioni, siano queste meteorologiche o dell’anima, diventa cura amorevole e fa sì che il giardino si trasformi in un  ‘’giardino  interiore condiviso’’ fluente e mutevole, luogo di vita, depositario non solo di bellezza, ma anche di    tempeste,  dove la natura, il Bene e il Male si raccontano e si contrappongono, un luogo dove il Destino si manifesta nella sua potenza,  pieno di presenze e di assenze, e dove la gioia lascia spesso il posto alla malinconia, ma comunque un luogo salvifico. Un giardino  epifanico, metafisico e, nel suo aprirsi all’infinito e ad altre dimensioni lineari o cicliche, ma sempre percepite eterne,  soprannaturale. E veniamo alle oche. Le bianche oche dal lungo collo che abitano il giardino sono simbolo di coraggio, resilienza al freddo e all’acqua, sono coraggiose, sempre attente, compatte negli intenti, rumorose all’unisono, le stesse che salvarono Roma: le sacre oche del Campidoglio. Scrive la Stepanova: ‘’Siamo oche, impavide camminatrici/dal collo lungo e dal becco rosso:/portatrici di sogni e di chimere,/miti, poesie, fiabe, leggende./Siate santi, imparate a essere oche.’’ e ancora: ’’  Le oche con il loro passo tranquillo/sono padrone di camminare dove vogliono./Sono belle le oche e sanno dove andare./Al collo portano i campanellini argentati,/per scacciare gli spiriti maligni – fuori,/fuori i demoni dai cuori e dai villaggi/. Un modo auspicabile, quello delle oche,  di stare insieme nell’inquietante presente, una salvezza  condivisa nel giardino metafora della vita, sempre più assediata e circondata da forze avverse. Tra le altre preziose e benefiche presenze dell’orto/giardino della Stepanova ci sono fiori profumati, erbe aromatiche, animali buoni e liberi, alberi da frutta, e in questo universo di presenze spicca la rosa, simbolo importante di rinascita, qui declinata in tutti i momenti del suo ciclo vitale, quasi un alter ego della poetessa e del genere umano in un mondo che non muore mai per davvero ma ad ogni primavera rifiorisce e si rinnova. Così nei versi della Stepanova: ‘’Io sto con le rose,/loro tutto sanno di me,/ e di nulla mi giustifico./Io sto con le rose/e nulla mi tange./Io so che le rose di sempre/riporteranno il mio cuore/nel cuore della rosa eterna.’’In conclusione la  poesia della Stepanova è  una poesia  importante, riconoscibile, elegante, piena di speranza nonostante la presenza di un destino ineluttabile,  una poesia che riempie di stupore,  di  emozioni e di mistero il cuore del lettore come dovrebbe fare la vera Poesia, ma è anche  una poesia dove la semplicità  del  quotidiano ha la sacralità di un rito, tra le benefiche  presenze angeliche e la vicinanza buona degli animali domestici. Dice infatti  la Stepanova con fiducia e speranza: ‘’…Apro alla vita in ogni istante-/il primo caffè caldo, gli occhi/del cane, la pazienza del gatto./Una rosa nel petto, l’aria fredda/del primo mattino, luce – respiro./Una parola gentile, un gesto/uno sguardo, il pane in tavola’’. A tratti visionaria ma sempre vera e potente, la poesia della Stepanova incarna lo spirito russo e quella tradizione  lirica che  Angelo Maria Ripellino, nel suo, ormai introvabile ‘’Poesia russa del 900’’ (Guanda, 1954), riteneva maestra e ‘’centro del mondo’’ più di  ogni altra tradizione lirica.

Tiziana Marini


Natalia Stepanova (Saratov, Russia), vive e lavora a Roma. E' poetessa e traduttrice. Autrice  di vari libri di poesia, tra i quali ricordiamo''Degli horti romani'', pubblicato sempre con la casa editrice Ensemble, cura la rubrica online ''La Russia in versi'' per Russia Oggi e fa parte della giuria del Premio Internazionale  ''Pushkin''.

sabato 23 novembre 2024

La recensione del poeta Dante Maffia per ''L'inclinazione di una foglia alla luce''


 

TIZIANA MARINI, L’inclinazione di una foglia alla luce, Roma, Edizioni Ensemble, 2023, pp. 90, Introduzione di Cristina Sparagana.

 

Comincio dalla dedica a Ghiannis Ritsos: “Una pozzanghera cristallina / senza fondo / ci raccoglieva nella differenza”.

E’ la sintesi perfetta di questo libro, di questi versi impastati di luce e di ombre restando sempre muti, immacolati, dentro un dettato lirico che ha qualcosa di misterioso e di magico e rende appieno il travaglio interiore di Tiziana che con parsimonia si apre agli squarci infernali e li deposita fuori dalla porta per poter vivere la profondità della pozzanghera.

Sì, cara Tiziana, sei riuscita a “fare di un fiore un giardino, di un verso poesia e vita” e a dare alla tempesta e al dolore la dimensione del vento che, per quanto burrascoso e fastidioso, corre in fretta.

I versi di questo libro hanno una dimensione sabiana, non eccedono neppure quando i sentimenti traboccano e pretendono di travolgere. C’è la pacatezza di chi dal vissuto ha tratto la Parola e ne fa uso parsimonioso anche se graffiante per la portata e il peso delle vicende, per il persistere di quelle ombre che Plinio Perilli, in un saggio introduttivo scritto per  “La farfalla di Rembrandt”, ha puntualizzato ampiamente con cognizione di causa.

Allora Tiziana Marini scriveva che “I pensieri di gioia sono / nei pensieri più neri. / Improvvisi riempiono gli occhi / di sere senza tempo”. Adesso siamo arrivati a cogliere “L’inclinazione di una foglia alla luce”, cioè a entrare nella dimensione che si apre verso l’infinito.

Ciò che maggiormente mi ha attratto di questo libro è l’impasto direi naturale di un linguaggio senza fronzoli e senza abbellimenti, senza i cosmetici del vocabolario. Tiziana riesce a raccogliere nella Parola dolore e gioia,  ombra e luce, desiderio e incanto, delusione e scoperta del senso che fugge… dimostrando saggezza e conoscenza della quotidianità non nelle apparenze, ma nelle cadute e negli sbandamenti, perfino nella consuetudine senza però far  diventare il gioco una consuetudine, come invece detta Kavafis.

Sa riconoscere “Per misteriosa  vocazione”, andare dritta alla polpa viva del senso e  fare emergere, distillandola, la verità che il cuore intravede in ogni circostanza.

Dunque poesia nella quale gli umori diventano la filigrana  di un processo che a volte scompensa e a volte trova “parole  / lunghissime con cui spostare il cielo”.

Cristina Sparagana si domanda, nel suo scritto introduttivo, che cosa resta del cuore e dice : “Forse il sogno perduto di un’infanzia segreta e ripercorsa, l’assorta cicatrice degli affetti, il vuoto dei fantasmi…”.  Sicuramente tutto questo, ma anche le risonanze e gli strascichi di ogni incontro e di ogni insegnamento ricevuto.

“L’inclinazione di una foglia alla luce” non è la fotografia di una sottomissione, ma la sfida a guardare e a non assuefarsi al negativo degli accadimenti. Nella sua immacolatezza espressiva Tiziana non cede di un millimetro e ribadisce che “Gli occhi vedono / sembianze amate / le trovano nell’impossibile / per somiglianza”.

Per concludere: un libro che gronda di dolore e di gioia, di palpiti autentici di vita, grazie anche a quell’appuntamento che rinnova le stagioni, le ravviva e le accende di nuove ombre e di nuova luce. Perché “Poi c’è il rito del vento / a ogni anniversario”.

 

DANTE MAFFIA

 

 

Il Tempo ne ''L'inclinazione di una foglia alla luce''. di Tiziana Marini. Recensione di Gemma Ravanello

 


 

 

 

 

Il Tempo ne

                              ''L’inclinazione di una foglia alla luce''

                                          di  Tiziana Marini

                                  Recensione di Gemma Ravanello

 

            Aprire un libro, soprattutto di poesia, è sempre un andare incontro a qualcosa che ci attendiamo riveli una qualche verità, o che ci illumini su qualcosa di cui abbiamo bisogno. Leggiamo parole, versi, ed essi entrano in contatto con il nostro mondo interiore. 

Nell’aprire il libro di Tiziana Marini incontro una prima poesia senza titolo che già mi colpisce, già mi sembra di intuire il preludio all’intera opera. Proseguendo con la lettura trovo una Poesia diversa nel libro, diversa dalle opere precedenti in cui la percezione del dolore veniva mitigato un poco; qui, in questo libro, un’ansia avverto che non si placa, una consapevolezza del vivere in ogni situazione del dolore, la constatazione di un tempo che si assottiglia davanti sempre di più e che non si può trattenere; sfugge la possibilità di un’altra vita, ancor più dimenticata e persa, non più recuperabile per altri frutti. E a sondare questa profonda inquietudine non è di certo cosa da poco. Dice bene Cristina Sparagana, nella breve introduzione, che il libro è nato dalle voci della tempesta. Una tempesta infatti che sommuove tutto il libro, anche se Tiziana Marini sa come gestirla, come ammansirla avvalendosi nella scrittura di una apparente pacatezza che è propria delle emozioni contenute. Non vorrei però ricorrere a questo per sottrarmi a scandagliare l’apparente equilibrio, anche se scandagliare fino in fondo l’animo di un poeta non è possibile più di tanto, non è giusto, né servirebbe a capire totalmente l’arte della sua poesia. In Conversation avec Picasso, Parigi 1932, Cahiers d’Art, l’artista così si esprimeva sulla sua arte: “Com’è possibile che uno spettatore viva un mio quadro come l’ho vissuto io? Un quadro mi viene da molto lontano! Chissà da quale lontananza l’ho sentito, l’ho visto, e l’ho dipinto…È possibile penetrare nei miei sogni, nei miei pensieri che hanno impiegato tanto tempo per uscire alla luce?”. Eppure “il tanto tempo per uscire alla luce” è pur sempre quel tempo lungo in cui ciò che si è sedimentato nell’animo, tutto il mondo di sogni e di pensieri, esce fuori rivelando in questo libro una voce di tempesta. Una delle prime poesie del libro L’addio all’estate, che fa parte della prima sezione In questa parte di tempesta, mi preannuncia un brivido d’ansia; S’indossava un golf la sera / dopo la prima pioggia / a ferragosto. L’ansia che percorre il libro è già presente in questi versi struggenti per ciò che cambia rispetto alle estati passate, e per ciò che soprattutto si lascia: l’estate se ne va, lascia il posto all’autunno che avanza, ma non è certo l’autunno che avanza che porta l’inquietudine. È l’alternarsi che si ripete ogni anno, da una stagione all’altra, da una stagione all’altra della nostra vita, che si fa sentire fin nelle ossa; è L’addio, e non solo all’estate. È l’addio triste, profondamente triste, con rondini / pronte a partire. / Anche se non c’erano. Ed è rimpianto per una stagione che se ne va per sempre e per le rondini che non ci sono più e che con la loro mancanza aprono anche uno scenario su una Terra che cambia a causa di cambiamenti climatici irreversibili, di cui soffriamo, e non sapendo veramente quanto. Perdiamo di vista le vecchie leggi della natura, i suoi ritmi, le vecchie abitudini, il golf la sera / dopo la prima pioggia, che ci assicuravano la quiete delle permanenze nella vita. Dammi la soddisfazione / di soffrire dolcemente per il tempo passato / e per quello futuro / di sfiorare le stelle quando nascono / e quando muoiono, per viaggiare fino a noi / invitate alla cerimonia della solitudine. Ma, purtroppo, almeno per quanto ne so io, non si soffre dolcemente. E ho il dubbio che non ne soffra davvero dolcemente nemmeno Tiziana se ascolto la sua implorazione. Sicuramente non per alcuni dolori, e forse nemmeno per la stessa ragione di vivere. E di vuoto in vuoto / si procede dal dolore: partenza per un tempo che ci illudiamo ci sia ancora, di cui usufruire, per avere la possibilità di dire addio alle cose.

Si arriva, ad un certo punto della vita, nel quale non ci troviamo più a pensare solo al tempo presente, passato, o a quello futuro, ma ad un tempo altro; un tempo senza di noi, a com’era prima, poiché c’è stato senza ombra di smentita un tempo in cui non c’eravamo, in cui non sapevamo nulla di cosa accadesse giornalmente mentre stavamo per arrivare, e ci sarà anche un tempo in cui di nuovo non ci saremo, di cui vorremmo sapere per seguire tutto ciò che lasciamo dietro: gli affetti, le persone care, le cose. Questo è ciò che morde il cuore più di tutto. Si avverte qui di Tiziana la sensazione della futura mancanza dal mondo Come l’ombra di un uccello / sul prato / precipitare nel diaframma / del quotidiano addio alle cose / anteprima della morte. Con pochi versi viene così definito il vero dramma dell’uomo, nascere, conoscere, per poi morire. Ma arrivare a questa consapevolezza, realizzare a come ci sentivamo vecchi / per scoprire com’eravamo giovani è realizzare davvero che il tempo è trascorso senza che, in fondo, ce ne accorgessimo, e ci chiediamo magari un po’ scherzando per esorcizzare l’amarezza: C’è ancora tempo / per una cena elegante?

Non si strappano più briciole al tempo, non si assaporano più come una volta, non riusciamo più ad assaporarle perché sappiamo che di tempo non ce n’è più tanto per godere, in intatta gioia, certi momenti. Di poesia in poesia, Tiziana ci rimanda al pensiero costante del tempo che fugge, a volte sembrerebbe sorriderne per smorzare la tristezza, ma non ci inganna dal momento che ci fa osservare Pensa agli alberi / mentre li guardi cambiano colore, né possiamo rimanere illusi se ci avverte Lasciare andare un mattino d’autunno / le foglie. / Lasciare che corrano negli angoli / senza vento / nelle pieghe dell’aria / prima che l’ossigeno le decomponga / in altra sostanza / prima del loro destino di ruggine. Nella leggerezza delle foglie che corrono l’ossigeno è l’insidia che le decompone, che le trasforma in ruggine; è inevitabile la fine delle foglie, la caduta loro in autunno è tema noto per lasciarsi andare alla malinconia, a pensieri sulla caducità della vita, al destino di tutti. Il destino di tutti è in agguato, e vivere finché la vita corre nell’aria, finché c’è tempo, è forse imparare ad accettarlo. Non è infatti di una natura dolce e generosa esprimersi perentoriamente sui lati negativi di una vita che si esaurisce. Tiziana cerca di alleggerirne il peso quanto può; se a cambiare il colore agli alberi è un movimento delle cose / che muove l’universo è questo stesso movimento che fa sì che qualcosa poi ritorna, e ciò fa intuire che questo qualcosa sia un qualcosa di positivo, che forse ci illumina, nonostante l’angoscia del tempo che fugge inesorabile. E Camminare accettando la fragilità / di fronte al dolore diventa allora il decalogo di Tiziana, conoscere l’addio e meritare la vicinanza per non perdersi nulla, per sorprendersi per la grazia dei campi, per sorprendersi infine di tutto. Ed è così evidente la mia fragilità / che tu riveli, ammette, rivolgendosi a Fusino, il gatto che sta per lasciarla, il suo stellino stanco. C’è da accettare anche questa di fragilità, e non è facile.

            Rimane pur sempre intensa la tristezza per ciò che riguarda la fine delle feste verso i mesi / indefiniti di primavera quando Mestamente si spenge l’albero / e si ripongono gli addobbi / nella carta velina anche se si parla di luce nella poesia dedicata a Angela, fiore di luce. Il riferimento all’albero, agli addobbi riposti nella carta velina, con cura, per l’anno seguente, riempie l’animo di angoscia: ci sarà un anno seguente, scarteremo di nuovo gli addobbi, ci sarà ancora (per noi) l’albero con le luci? Angela non c’è più, ma la sua presenza è Fiore di luce. Troviamo per un attimo una speranza; così come per Angela anche noi possiamo pensare di non cadere nel vuoto, di rimanere ancora nella vita degli altri, Ma non nevica per davvero / e il vuoto non c’è, al suo posto c’è la luce, e la luce è pienezza, uno spazio che ci colma, anche se doloroso. Si dice sempre che una persona cara scomparsa lascia un vuoto ma, a pensarci bene, proprio perché se ne soffre, perché occupa tutti i nostri pensieri, determina in noi invece “un pieno”, un pieno che dura nel tempo e mantiene vivo il ricordo, mantiene presente la persona cara.

            E il richiamo alle feste del Natale mi riporta al pensiero del tempo, come d’altronde verte la mia nota sul libro. Le feste natalizie che fanno da spartiacque tra i mesi che sono arretrati nell’anno passato e i mesi che vengono avanti nel nuovo anno sono emblematiche del passaggio del tempo che lascia il passato per entrare nel futuro. Nessuna festa si abbandona con tanta tristezza come quella del Natale. Il rammarico di interrompere giorni di letizia, di dover aspettare un nuovo anno prima di riviverli, è sentito intensamente dai bambini, e da noi attraverso di loro anche se non con la stessa illusione di favola. Ma tornare da adulti al ricordo di quei giorni è un rimpianto cocente, l’infanzia è volata, il tempo è volato, ed ora? Ricordare per esempio / un bacio lontanissimo / volerlo ancora dare.

            Il tempo, in questo libro di Tiziana Marini, è un protagonista. Ovunque si manifesta, che sia il passato, o il futuro, o un tempo altro; e il tempo che non è sempre The Great Healer, il guaritore, come pensavamo che fosse ingenuamente, non ci consente di consolarci di tutto ciò che non abbiamo colto a sufficienza. Un po’ tardi si è scoperto che nel poco tempo a nostra disposizione, per noi – lampi d’aurore boreali– il dimenticare era inevitabile. Siamo treni e stagioni / lampi d’aurore boreali. / Per questo riempiamo oggi le mani / di gesti e di nomi, mai abbastanza / se si possono dimenticare.  

            Ogni verso di questo illuminante libro di Tiziana è frutto di sue profonde meditazioni, di un lavoro di scandaglio nel mondo sotterraneo di nostalgie, amarezze e rimpianti, tirato a forza da lei in superficie, con sincerità, quasi dovuto a sé stessa, quasi a ricuperare possibilmente il non ricuperabile. Il lavoro di un libro, in un certo senso, può essere paragonato al lavoro di restauro di un oggetto rotto, dove però a subire l’arte del restauro è l’anima in frantumi. Per restaurare Si parte dai cocci, radunati, contati ad uno ad uno / incollati evidenziando l’andamento della crepa. Le suture sono le cicatrici, che volenti o no, ci siamo procurati, ma sono di Oro, a guardarle bene con indulgenza.

            Il valore di un poeta, di un artista, è quello di saper ricomporre “i cocci” tra le mani, l’anima in frantumi, di cucire le ferite, e Tiziana, con tenacia ammirevole, è riuscita a rendere preziose quelle linee di frattura / le imperfezioni d’edera rampicante. E se, come dice lei stessa nella nota in fondo al libro, era sua intenzione fare di un fiore un giardino, di un verso poesia e vita, partendo dalla tempesta e dal dolore, l’obiettivo è stato raggiunto.

Non senza però, per me, molta commozione.

 

 

Gemma Ravanello

Novembre 2024

giovedì 31 ottobre 2024

''Echi'' di Gabriella Maggio (Il Convivio, 2022). Il tocco delicato del ricordo.

 



 

Echi” (Il Convivio, 2022) di Gabriella Maggio è una silloge in cui gli echi che provengono dal passato risuonano in ogni dove, in un continuo rimbalzo sulle pareti del cuore,  con forza e intensità,  attraverso la continuità del ricordo. C’è un filo d’oro, prezioso che lega e annoda passato e presente e anche  quando le parole sembrano  insufficienti o ‘’’mute’’, come ci dice la stessa Gabriella nella  poesia ‘’Come foglie di menta’’, dove ‘’…Un sortilegio le confonde…’’, la poetessa riesce a costruire ugualmente, attraverso uno sguardo emotivo potente e delicato al tempo stesso, visioni e  narrazioni di luoghi, circostanze e affetti “in modo vividissimo,  incastonandoli poi in architetture temporali così solide da sembrare eterne,  come avviene per esempio nella  poesia ‘’Magnificentia temporis’’ in cui il tempo, protagonista assoluto della silloge,  si dilata trasformandosi in spazio, preghiera e luogo concreto: ‘’…Labirinti che vanno / da una colonna al capitello / e sfumano sempre più in alto / nel vertiginoso cielo dipinto / in cui un dio austero e benevolo / inizio e fine dell’ansia della vita / si smarrisce tra le nuvole…’’,  mentre aggiunge ‘’…E intanto il sogno s’infrange / sul pavimento l’occhio / segue le cuspidi di una rosa dei venti dove tutto svetta verso il cielo ma riconduce poi alla terra’’, come in una verticalità in cui tutto è per sempre  e  in un  realismo amaramente disincantato. E se il tempo è lo scorrere nell’attimo che lo cattura, per la necessità della poetessa di recuperare e conservare ogni dettaglio e ogni singolo palpito, qual è il luogo di queste emozioni? I luoghi sono tanti.  Una piazza, un tempio, una fiaba, un sogno, l’antica tavola, piccole/grandi cose della quotidianità sulle quali brilla  un sole luminoso e intramontabile, ma c’è anche la tempesta della   guerra e  della violenza e c’è un luogo in disparte dove sedersi e dove raccogliere una pietra antica/ talismano, metterla  in tasca per non dimenticare il passato e farlo rivivere con il ricordo, quasi una  pietra filosofale onnipotente che lenisce e dà speranza come  nella poesia ‘’Fuori dalla folla’’:’’…Voglio portarne intatto il ricordo / raccolgo una piccola pietra e la metto in tasca’’.   E poi ci sono i gesti d’amore di ‘’Ti vengo alle spalle silenziosa / mentre scrivi assorto / ti cingo il collo col braccio / t’offro un frutto e un sorso di vino / t’invito all’amore…’’ e ci sono  i racconti a fine giornata, quadri in cui si ride e ci si guarda profondamente negli occhi come in ‘’E ridere così’’: “…E intanto scorre questo tempo epico / di assoluta vertigine che vuole tatto e suono’’. La poesia di Gabriella  è proprio il luogo d’incontro del ‘’qui e ora” con il ‘’là e  per sempre’’ , il luogo dove il microcosmo si unisce al macrocosmo, la quotidianità fatta di piccole cose  alla nostra ben più  lunga storia.

Da tutto ciò si evince la missione salvifica della poesia  in quanto ‘’…arca per il prossimo diluvio…’’ , panacea per i mali più profondi del nostro tempo, per i  burattini che siamo, malinconici e incompresi, come nella poesia ‘’I burattini’’dove questi ci   appaiono così umani nel loro senso dell’effimero quando    ‘’non visti piangono amaro con la testa china’’, dopo lo spettacolo. Ma,  dice Gabriella: ‘’…Oggi io sono ansiosa di dire pietose / parole d’amore / a chi si unisce nella scrittura…’’ perché la sua poesia è unione di anime  e ancor più ancor più è  ‘’onesta’’ come ben evidenzia Dante Maffia , citando Saba nella bella prefazione. Poesia  vera che comunica ed emoziona e nella  quale possiamo ritrovarci, pur nell’unicità del suo dettato. Ringraziamo dunque Gabriella  per regalarci la bellezza  autentica di incipit e chiuse folgoranti e la speranza quando,  con gli occhi acutissimi  e sinceri della poesia, vede ‘’i fiori dietro al muro’’ fiori che nessuno vede e che nonostante tutto  continuano a crescere ‘’Di là dal muro spuntano già i fiori / nella primavera della speranza’’, perché il poeta coglie l’invisibile.

Tiziana Marini.


Anche sul blog ''Palermo dei Vespri'' e Associazione Volo Promozione Sociale e Culturale ai seguenti link:










Gabriella Maggio è nata e vive a Palermo. Ha ricevuto prestigiosi  riconoscimenti in numerosi premi letterari tra i quali ricordiamo  la segnalazione di merito nel Premio Carrera. Ha pubblicato per le Edizioni Il Convivio le raccolte di poesie  ''Emozioni senza compiacimento'' nel 2019  e ''Echi'' nel 2022. Responsabile per Palermo  della rivista letteraria  ''Poeti nella società'', dove pubblica poesie e recensioni, collabora con importanti riviste e siti letterari. Le sue poesie sono presenti in numerose antologie e siti  tra i quali ricordiamo Italian Poetry.

mercoledì 3 luglio 2024

''Lo Sciamano'' di Valerio Mattei, un romanzo dal grande valore educativo, un viaggio spirituale verso l'auto-realizzazione.

 








‘’Lo sciamano’’ (Edilet, 2019) di Valerio Mattei letto da Tiziana Marini



‘’Lo sciamano’’(Edilet, 2019) del performer, musicista e scrittore Valerio Mattei racconta di come possiamo  trasformare la nostra vita in positivo  attraverso il raggiungimento dell’autocoscienza e della consapevolezza di sé. Si tratta di un libro  molto interessante e ispirato che nasce dal profondo interesse dell’Autore per i temi trattati, un libro che, con ragionamenti e dialoghi convincenti, talvolta ironici, in un susseguirsi di brevi capitoli, ci accompagna in un viaggio affascinante alla scoperta di noi stessi e  ci indica la strada per avvicinarci il più possibile alla felicità. Tra i tanti insegnamenti proposti va sottolineato quello di non essere mai  giudicanti e di  farsi del bene non portando rancore. Dice infatti  lo Sciamano, mentore del nostro protagonista: ‘’… Se resti preda di rancori, rimpianti, ricordi, frustrazioni e altre negativià, le tue cellule si replicano male, perdendo qualità, brillantezza, energia ad ogni passaggio, come quando riversavi le tue registrazioni da un nastro all’altro, sulla doppia piastra. Ti ricordi come il volume si affievoliva e il fruscio cresceva? Questo non vuol dire essere sempre allegri e felici, anzi. Ma si deve fare grande attenzione a come si processano emozioni, relazioni, eventi…’’ e soprattutto,  dice ancora lo Sciamano ‘’…sii la persona che augureresti a tutti di incontrare’’. Per concludere poi ‘’… riparti da te, smonta quello che sai o pensi di sapere su te stesso e ricomincia da una rinnovata visione interiore…’’. Certo non è facile perchè    si tratta di compiere una vera rivoluzione nella nostra mente,  un capovolgimento della nostra visione del mondo con tutti i suoi valori e meccanismi cristallizzati, ma   nel libro  lo scenario/occasione di questa trasformazione è sorprendentemente offerta da un sogno lucido, chiaro e rivelatore, in cui  il protagonista, come un novello Dante Alighieri, proiettato in un mondo sconosciuto, intraprende un viaggio  completamente interiorizzato, guidato  appunto dal  misterioso ‘’sciamano’’ del titolo,   non solo un maestro spirituale,  una figura paterna e saggia che gli insegnerà le regole  necessarie a questo cambiamento radicale,  ma anche una guida amorevole, in quanto l’amore è il sentimento indispensabile, il presupposto imprescindibile del cambiamento. Ma quali sono dunque queste regole? Intanto, prima regola,  anche le cose negative della vita in questa prospettiva hanno una loro valenza positiva e, seconda regola, tutto è in noi che diventiamo così l’unico vero punto di vista mentre  ‘’gli altri’’, ingiustamente colpevolizzati, sono soltanto  una nostra proiezione. Insomma se le cose non vanno come vorremmo, dipende perlopiù da noi. Solo la nostra interiorità crea e modula, nient’altro, così  il dolore, il fallimento, la frustrazione sono nostre creazioni, frutto di una separazione utilitaristica, in realtà  inesistente, fra noi e il mondo. Potremmo dire, parafrasando il titolo di una vecchia canzone, ‘’gli altri siamo noi’’, ma non soltanto questo perché in effetti noi siamo molto di più: siamo universo ed energia e conteniamo il divino. Dicevo dunque che questo libro è un viaggio/percorso, ma questo viaggio non si svolge in un tempo lineare, diacronico, bensì in un tempo presente sincronico in cui tutto è. E qui si aprono visioni e prospettive che vanno dalla fisica quantistica al multiverso, come facilmente si può dedurre, territori estremamente affascinanti. Cosa dunque lo sciamano vuole insegnare al nostro protagonista? Essenzialmente la via per raggiungere la consapevolezza e, attraverso questa,  quel qualcosa che chiamiamo felicità. A questo punto non si può non considerare  il Buddismo zen e l’importanza della meditazione in quanto entrambi  permeano e nutrono il libro.  A tal proposito vengono in mente  anche due concetti giapponesi : ‘’ikigai e nagomi’’ (La via del nagomi,  Ken Mogi, Einaudi), concetti che indicano i percorsi per dare un senso alla vita, per vivere la quotidianità con soddisfazione,  equilibrio e armonia, elementi fondamentali nella scoperta della  piacevolezza del vivere e nel risveglio delle  potenzialità infinite della nostra energia interiore. Alla fine si tratta di trovare in noi l’energia giusta e di annullare i sentimenti negativi, unici veri ostacoli alla realizzazione di noi stessi e dei nostri obiettivi. Poi, semplicemente, tutto si compirà. Di certo noi lettori intanto facciamo tesoro dei saggi e preziosi  insegnamenti dello Sciamano e ringraziamo lo scrittore Valerio Mattei per questo originale e stupefacente libro.

Tiziana Marini

 

mercoledì 19 giugno 2024

La poesia di Yin Xiaoyuan, poetessa multilingue e crossover






Da ''L'Atlante Ornitologico''  della poetessa cinese, Xin Xiaoyuan, la traduzione  del cap 46, Caprimulgus Vociferus o Frusta Orientale. Tre lingue a confronto: cinese, inglese, italiano.

A questo link:

https://mp.weixin.qq.com/s/zC1sue9ALmq-p6mZJunCSA


Yin Xiaoyuan è una poetessa cinese  d'avanguardia e multilingue, fondatrice della Scuola di Poesia Enciclopedica, istituita nel 2007. Promotrice di molti progetti con artisti internazionali, si è laureata all'Università di Studi Internazionali di Pechino ed è membro dell'Associazione degli Scrittori Cinesi e del Poetry Institute of China. Ha pubblicato 11 libri di cui 5 di poesia.I suoi lavori sono stati tradotti in oltre 50 lingue e pubblicati su riviste e antologie. Ha partecipato inoltre a numerosi festival internazionali  di poesia. Amante della montagna, ha viaggiato per tre volte attraverso la Cina, tra il 2018 e il 2023, facendo importanti esperienze sulle grandi montagne.

殷晓媛

百科诗派创始人、智库型长诗/小说/诗剧/实验文本作者、泛性别主义写作首倡者。中国作家协会、中国诗歌学会、中国翻译协会会员。出版诗集《印象之内,物象之外》、《它们曾从卓尔金历中掠过》、《前沿三部曲》、《播云剂》《Cloud Seeding Agent》(英文版,美国Pinyon Publishing出版社,2020)及多部译著。作品被译为50多种外语,发表、广播、被改编成音乐单曲及并收录入多种国际选集与西班牙诗人杰姆·B.罗萨联合主编《无国界诗歌VII:中国-西班牙当代诗人》(西班牙Olelibros出版集团,2021),与澳大利亚诗人格伦·菲利普斯联合主编《Sotto Voce》(伊迪斯·科文大学出版, 2023)受邀参加“Poetry Vicenza诗歌节(意大利,2020+2022“Bitola Literary Circle”诗歌节(北马其顿)、AcoKaramanov诗歌节等多届国际诗歌盛事。曾三次独自游历全国名山大川,攀登泰山、黄山、华山、衡山、嵩山、峨眉山等。

 

Yin Xiaoyuan( “殷晓媛” in Chinese) is an avant-garde, crossover epic poet as well as amulti-genre & multilingual writer, founder of Encyclopedic Poetry School (est. 2007), initiator of Hermaphroditic Writing Movement and numerous crossover projects with international poets/musicians/artists.She graduated from Beijing International Studies University. She is member of Writers’ Association of China, Translators’ Association of China and Poetry Institute of China. She has published 11 books including 5 poetry collections: Ephemeral Memories, Beyond the Tzolk’in, Avant-garde Trilogy, Agent d’ensemencement des nuages and Cloud Seeding Agent (Pinyon Publishing, USA)Her works have been translated into50+ languages and published in magazines and included in anthologies. She was invited to poetic festivals including “Poetry Vicenza”(意大利,2020+2022,“Bitola Literary Circle” and “AcoKaramanov” poetry festivals (North Macedonia). She co-edited “POESÍA SIN FRONTERAS VII--Antología de poesía chino-española” with Jaime B. Rosa (Olelibros, 2021) and “Sotto Voce” with Prof. Glen Phillips (International Centre for Landscape and Language Press, Edith Cowan University, 2023).She is a mountaineering enthusiast who travelled across China 3 times between 2018 and 2023 with remarkable experiences with great mountains.

 


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sabato 15 giugno 2024

Il poeta, scrittore e saggista Marco Onofrio legge ''L'inclinazione di una foglia alla luce''

 

“L’inclinazione di una foglia alla luce”, di Tiziana Marini. Lettura critica.



https://marconofrioscrittore.wordpress.com/2024/06/14/linclinazione-di-una-foglia-alla-luce-di-tiziana-marini-lettura-critica/





Tiziana Marini è ormai – mi pare evidente – una delle migliori poetesse contemporanee. La sua crescita progressiva, su un piano di concentrazione linguistica e – a monte – di schiarimento originario dello sguardo, giunge ora a una conferma che approfondisce gli esiti già notevolissimi raggiunti ne “La farfalla di Rembrandt” (2019), grazie a questo nuovo libro, di rara limpidezza e intensità, delizioso fin dal titolo: “L’inclinazione di una foglia alla luce” (Ensemble, 2023, pp. 90, Euro 13). Un titolo che non solo apre percorsi di consentaneità, e quindi di reciproca contaminazione creativa, tra la “visione” che presiede alla poesia e quella che presiede all’arte figurativa (Tiziana è anche un’apprezzata pittrice), ma innesca rifrazioni simboliche “ad infinitum”, come le onde concentriche prodotte da un sasso in uno stagno, che la dicono lunga sul “modo” peculiare di vedere e sentire le cose “per incantamento”, da cui discende la traduzione musicale della sorgente eidetica che poi coagula sulla pagina.  

Questo libro è un piccolo miracolo di armonie: c’è un fluido luminoso che accende le parole e scorre tra di esse come argento vivo, manifestando “in fieri” la circolarità delle energie e delle trasformazioni a cui obbedisce tutto l’universo. La poesia, quand’è così, rappresenta un microcosmo organico che, pur essendo “forma”, non contamina la ricchezza originaria dell’infinito da cui viene estratta. Come un bicchiere di oceano pescato dalle acque più pulite e cristalline. E può accadere perché Tiziana Marini ha lavorato nel corso degli anni a una costante purificazione dei suoi canali spirituali e all’amplificazione delle sue “antenne ricettive”. I veri artisti non si appagano mai, la loro ricerca è sempre aperta, vigile, attiva: chi si ferma è perduto! Si percepisce infatti un percorso di affinamento e di approfondimento della coscienza, che ha gettato le premesse evolutive da cui le poesie sono sbocciate con la stessa naturalezza delle fioriture nei prati a primavera. Ogni composizione è, così, la nota intonata di un concerto: consuona e collabora all’armonia dell’opera globale. Ciò non toglie, com’è ovvio, che l’altezza degli esiti raggiunti sia poi anche il risultato di un preciso “corpo a corpo” con le singole parole, ma acciocché il “labor limae” sia efficace occorre che l’intuizione iniziale della poesia abbia saputo cogliere felicemente un lampo di rivelazione, altrimenti la poesia è – diciamo così – “stonata” in partenza. Qui sono entrate in gioco una serie di circostanze rare a verificarsi, così favorevoli (per allineamento energetico tra “dono” e gestione dello stesso, cioè tra intuizione e ragione: quella mescolanza ben dosata di natura e cultura che rende sempre talentuosa e speciale ogni forma d’arte) da rendere straordinaria e non facilmente ripetibile la bellezza che splende nei versi.   

Complimenti davvero, e vorrei iniziare il mio personale itinerario tra le molteplici “inclinazioni” di un libro così alto con la tonalità “francescana”, ricca di amore incondizionato per il creato, da cui sgorgano alcuni versi che risuonano in me particolarmente suggestivi. Il lettore ricorderà, da “A mia moglie” di Umberto Saba, vv. 13-14: «i sereni animali / che avvicinano a Dio». Ebbene, era dalla lettura del Canzoniere sabiano che attendevo di imbattermi in qualcuno con la capacità e, diciamolo pure, il coraggio di affermare la purezza sacra degli animali. Ed ecco finalmente Tiziana Marini, nella terza composizione tra quelle dedicate in memoria del gatto Fusino: «Rubo i giorni al sole per la tua corona / e già vedo in te un piccolo santo / da pregare». Chiunque abbia o abbia avuto confidenza affettiva con una bestiola adorabile come Fusino sa bene di che stiamo parlando. Li adottiamo con infinito amore per un tratto purtroppo breve della nostra vita, e li sentiamo a tutti gli effetti come “figli”. Chi non li ha o non li ha avuti, difficilmente potrà capire. Il “coraggio” nasce dalla decisione di esporsi alla derisione, e dunque alle critiche di chi – e sono molti purtroppo – considera gli animali esseri inferiori, trascurabili, incomparabili (per difetto) al bipede umano, dimenticando così che anche noi siamo animali (ma della peggior specie) e avvertendo inevitabilmente come ridicole le esternazioni commosse di chi li ama e li tratta “alla pari”.

Tutto questo per cominciare a significare che “L’inclinazione di una foglia alla luce” implica – e peraltro suggerisce fin dal titolo – una trasformazione spirituale dello sguardo, ovvero un salto evolutivo della coscienza normalmente condivisa. Anche per questo credo sia una delle opere di poesia più intense e riuscite che io abbia letto negli ultimi anni. Scrive André Gide ne “I nutrimenti terrestri”: «L’importanza sia nel tuo sguardo, non nell’oggetto su cui si posa». E infatti la poesia è anzitutto questione di sguardo: ad esempio guardare la notte «nel modo giusto / finché diventa giorno»; oppure leggere amore nel cielo stellato, che invece parrebbe a tutta prima quanto di più mostruosamente freddo, inospitale e inconcepibile ci sia dato contemplare. La “rivelazione” splende secondo una certa inclinazione alla luce: dell’oggetto e dell’osservatore. «Sia ad ogni istante la tua visione nuova», continua Gide. E affinché accada questo, lo sguardo deve “covare” lo struggimento del tempo e il doloroso amore della bellezza. Tiziana Marini scrive: «Nella cova del mio sguardo tra pena e tenerezza / come per un animale buono, deriso».     

Occorre sprofondare nei segreti della realtà, anche nelle pieghe dell’aria, negli angoli nascosti, negli spazi minimi, fino all’«ultima stanza» del percepibile, fino ad avvertire ogni sensazione come «presenza infinita» di echi che si allargano dal particolare all’universale: «come riconoscere una trama / da un’unica parola». La tela della poesia (e quindi dello sguardo da cui distilla) è «sudario paziente» che include la totalità dell’esistente, anche ciò che ogni amore esclude. Un verso come ad esempio «abbracciami negli occhi» è emblematico di questa inclusiva totalità da cui fermenta e distilla l’altezza direi anche etica del libro. Per sintonizzarsi appieno con le sue istanze è necessario muovere verso un grado “altro”, cioè diverso e superiore, di consapevolezza evolutiva («da impronta a impronta / di vita in vita / fino a me, dopo di me»), entrando in risonanza con l’intensità spirituale grazie a cui – come scrive Cristina Sparagana nella breve e fulminante Introduzione – «le stelle parlano, le foglie sono uccelli che stormiscono, le rondini ci porgono un vago, tenero sema apocalittico». Ci si riconnette, allora, con la grande lingua dimenticata, l’alfabeto cosmico primordiale che torna dall’Oceano di Tetide e si manifesta anche in questo preciso istante con le parole-essere delle cose, “sentite” per osmosi.

La vocazione pan-linguistica del libro si evince anche da certi titoli delle composizioni: ad esempio “Pentagramma terracqueo” o “L’alfabeto e il cielo”. È una realtà nascosta dietro i fenomeni e vive nello spazio del «vuoto-origine». Ecco così le foglie che «suonano tra loro parole fitte», e l’identità soggettiva che trasumanando nell’ascolto e nella contemplazione può arrivare a sentirsi come «la foglia-uccello / che impara dal suo volo». Le parole, scelte con estrema cura da Tiziana Marini, ci danno conto di un cosmo di infinita circolarità, percepito come metamorfosi. E anche di una dimensione organica (scrive a un certo punto di «prato-scrittura») che si raggiunge diventando le cose che si pensano e percepiscono: «La mia solitudine / la stessa delle pietre / degli alberi, delle fontane antiche». Naturalmente occorre fare i conti con la corta favella del linguaggio umano: le cose sfuggono alle parole, magari per scarti infinitesimi, come ad esempio «la luce che a dirla non rende / ma è vera luce». Eppure il poeta avanza lo stesso nel cuore della vita, dove affonda «come la radice di un albero / quanto tocca ciò che fu vivo / guidata dalla tenerezza». La capacità di oltrepassare, come fa il vento, il dono del presente – fino ad immaginare «un tempo senza noi / com’era prima» – non esime il poeta dalla possibilità e direi dalla necessità di affrontare il sentimento-sedimento del tempo: dal «minuto / che la luce aggiunge al giorno» dopo il 21 dicembre, al corrispondente fenomeno inverso dopo il 21 giugno («c’è ancora luce, ma già meno di ieri. / L’avresti detto a luglio?»), ovviamente considerando l’emisfero boreale. Il passato contiene tutto il futuro, e il presente tutto il passato, per cui «Ogni giorno è il primo / dei restanti / ogni minuto è già domani» così come «le ombre hanno la luce dei giorni / passati». Appartiene al poeta lo sprofondamento della superficie che lo porta a «precipitare nel diaframma / del quotidiano addio alle cose / anteprima della morte», poiché sa bene che la vita è un processo infinito di morte e rinascita, è «il vuoto di un bosco arso / che rinasce a sorpresa / per una radice salva / per un seme casuale».

Fare poesia nasce da un «grumo d’introspezione» che oltrepassa la scansione lineare del tempo spezzando le barriere, il «limite imposto dalla logica». Ma nasce anche dal «gesto umano / della comprensione» e dal rispetto della rerum natura, coi suoi cicli di semina e di «messa a dimora». Il poeta amministra nel suo rito la «cerimonia della solitudine» (come quella che celebrano gli astri palpitanti nel cielo) per suonare il «pentagramma / terracqueo del cuore» mentre ascolta nelle profondità del silenzio il «brusio sincrono del mondo» e avverte l’energia cosmica andamentale, l’impulso che muove il divenire mentre le cose «vanno nell’aria come onde di luce». La parola trasforma il mondo e costruisce universi: «tutto si muove già nella parola / da quella semplice a quella più complessa». Possiamo spostare il cielo con la sola forza dello sguardo e del pensiero. L’osservatore influisce sul fenomeno osservato, lo ha dimostrato la fisica quantistica ma lo sappiamo anche per esperienza ultrasensibile. «Pensa agli alberi / mentre li guardi cambiano colore». La poesia comincia dove si apre il regno dell’Ignoto: «Da qui iniziano i fantasmi». E dunque sentire i richiami sottili, riconoscere le cose «per misteriosa vocazione», avvertire la «fibra d’ombra / sfuggente ai più», e insomma collocarsi – per trasmutazione metafisica – entro il reticolato di una geografia invisibile che in realtà sostiene la facies visibile e “normale” delle cose apparenti.

Di conseguenza il poeta è sempre impegnato ad attaccare «le rughe / alle mancanze» di ciò che non è più, di ciò che non è ancora. Sua è anche la ferita del possibile, nel richiamo di «un’altra vita / quella dimenticata e persa / quella che avrebbe dato altri frutti / a viverla». Ecco quel particolare struggimento, la «trafittura dolce» che ci recano i versi: niente come la poesia dona la «soddisfazione / di soffrire dolcemente per il tempo passato / e per quello futuro». Lo sguardo poetico di Tiziana Marini è una «lacrima-lente / che ingrandisce gli spazi» per togliere gli ostacoli da cui è impedita la visione del vero. Questa lacrima si scontra con l’indifferenza feroce del mondo, non solo gli uomini ma anche e soprattutto la natura: ad esempio «quel punto del mare / che inghiotte ed è un olio / quando si richiude / come se niente fosse» (dove riecheggia naturalmente, dal XXVI° Canto dell’Inferno, «infin che ‘l mar fu sovra noi richiuso»). Al meccanicismo spietato che regola la vita su questo pianeta e il divenire del cosmo, noi opponiamo la forza del nostro disperato eppure, e quindi «Diciamo ora amore, senza aspettare». La scrittura nasce dalla preliminare accettazione delle fragilità, delle imperfezioni, delle preziose cicatrici. È il mastice dorato che incolla le fratture, è il «filo che trapassa / la cruna delle stelle», è casa, rifugio sicuro, «conchiglia eterna». Salva «ciò che sta sul palmo / un frammento, un grido». È suprema compensazione e ricomposizione dei destini, grazie a cui «ogni cosa va al suo posto»:

Resto con la penna-aratro
aggiustando le cose
in un epilogo misterioso
di uguaglianza. 

Questo libro ci ricorda intensamente che il mondo è interconnesso nella trasformazione perenne delle energie, per cui «non tutto muore / se lo ritrovi in un fiore / nel sapore dell’acqua / o in un volto». Il profondo è circolarità tra basso e alto: «un seme spaccato sul germoglio / come un taglio nel cielo». Anche il tempo è legato all’eternità («Penso che qualcosa di eterno si compia / ad ogni tuo gesto») e anche il nostro destino lascia contemplare in trasparenza una «misura / di cielo». Certo, il dolore è congenito, poiché «c’è distacco ad ogni metamorfosi», ma il poeta si sente chiamato (e chiama a sua volta) a una instancabile trasmutazione alchemica di senso contrario: «Prendiamo acqua dalla sabbia e facciamo / luce di resurrezione». Dobbiamo strappare «briciole al tempo» anche se il sapore è avvelenato dalla fine. Tutto chiede udienza al poeta, e il poeta ascolta e accoglie questi appelli, accettando di dare voce all’insolito, alle «minuscole memorie», a ciò che dimora o passa nelle più segrete pieghe degli istanti. Anche e soprattutto i fotogrammi labili e sfuggenti, come ad esempio le «ali di uccello nello specchio d’acqua / del sottovaso quando ha piovuto tanto».    

La dura legge della vita impone il continuo addio a persone, animali, oggetti, situazioni: tutto è destinato a scomparire. «Non c’è niente da fare / le cose si allontanano / per quanto strette / e non basta dire ci sarai / per sempre». Dove finiscono i morti e le loro consuetudini, l’essenza dei loro giorni terreni? Nella «parte primitiva» di chi li ha amati. L’essere umano ha la facoltà di sentire lo spazio attraverso le pareti, di immaginare il cielo attraverso i soffitti delle stanze, di esplorare il vuoto che ha sostituito la presenza fisica del corpo. E qui, per concludere, possiamo tornare all’amato Fusino: «allungo spesso la mano / sulla curva sottile dell’aria / dove ancora ti vedo / e ti accarezzo». La Poesia è quella dimensione percettiva dello spirito grazie a cui la forma invisibile del gatto, cioè la sua “presenza sottile” nel vuoto, finisce per essere più reale e vera dello spazio che occupava il suo corpo materiale. Capire e credere questo segna il confine che divide ma anche unisce il mondo della vita da quello dell’arte, ed è proprio qui che si incardina la differenza culturale che ci rende umani.   

Marco Onofrio

 

 

lunedì 10 giugno 2024

L'inclinazione di una foglia alla luce (Ensemble, 2023) nella recensione di Valerio Mattei

 








Tutto è luce. Non esiste nulla che non sia portato in materia su ali fotoniche. Sembrano frasi di un anime di metà anni Settanta, tipo Goldrake, ma è pura fisica quantistica. La stessa grazie a cui abbiamo appreso che un elettrone può trovarsi contemporaneamente in più posti, in più stati energetici simultaneamente. E soprattutto abbiamo imparato che la variabile in base a cui l’elettrone sceglie dove, come, cosa e quando “essere” non è la mano di un Dio, Principio Creatore imperscrutabile, barba bianca e fulmini alla mano, ma molto più banalmente (in apparenza) il nostro sguardo. Che poi è la stessa cosa – barba e fulmini a parte – dal momento che noi siamo in effetti portatori, radici e frutti di questa Divina Presenza, Scintilla Creativa, e che l’Eterno e l’Infinito ci abitano da sempre e per sempre. Roba da poeti? Non più in via esclusiva. Oggi è sempre più anche, come dicevo, roba da scienziati. Lo sa bene Tiziana Marini che nel suo “L’inclinazione di una foglia alla luce”  lascia trasudare con mano mite e cuore immenso tutta questa conoscenza in soffici parole intrise d’amore. Al contrario di quanto Lei stessa sostiene in “La parola che dura”:

 

La parola non basta all’amore.

 

Dice bene, certo, l’amore si fa, non si dice o almeno non soltanto. Ma questo non vale per Tiziana Marini, autrice di grande struttura e di enorme spessore culturale, umano, artistico. Tutta la Sua opera, ogni Sua parola trasuda amore e ovviamente luce. Amore per la vita, per il semplice fatto di esistere, di ringraziare, di danzare, di volare leggeri anche sui fatti più dolorosi. Per poi capire che questi ultimi non sono mai un male/male ma un male/bene, una svolta escatologica, un catapultarsi infinito e infinitesimale verso orizzonti di rinnovate maturità in ogni stagione della vita, in ogni “Anniversario”:

 

Ma la trafittura

Dolce della certezza

La spina del bene che mi vuoi.

 

Se tutto è transitorio, come fotogrammi di una pellicola, se è vero che (VII)

 

Non c’è niente da fare

le cose si allontanano

per quanto strette

e non basta dire ci sarai

per sempre.

 

…allora Tiziana Marini deve avere trovato, forse senza accorgersene (!), la Via Maestra, la Grande Autostrada del Cielo, novella Iside (“L’ora di Khepri”) e versione femminile di quello stesso Orfeo citato indirettamente e sibillinamente in componimenti di gelida, struggente bellezza come “I”:

 

C’è distacco a ogni metamorfosi.

Ma dal fuoco la cenere

restituisce

ombre filiformi di fiori

 

Tutto questo per donare nuova vita a ciò che sembrava perso, in uno sfilare, etereo e leggiadro di versi che si fanno immagine, grazie a questa Luce che davvero sembra attraversarci come lame che penetrano, dolcissime, diafane istantanee di vita, rese come sempre ingioiellate dallo scorrere (illusorio anche questo) del tempo, fino a che la loro bellezza non ci fa sorprendere in apnea. È questa apne
a magica, questa irripetibile occasione di frattura nella percezione del continuum spazio-temporale, il dono inestimabile che la Poesia ci offre, soprattutto quando il Suo lirismo è modulato da cuori elevati e raffinati come quello di Tiziana Marini, che ci regala (“Emoticon”)

 

[…] parole univoche

precise, oneste

per salvare un sorriso

altrimenti perso

per dire una poesia

che non resti dentro.


Valerio Mattei





Valerio Mattei, in arte Saman,  è autore, pianista/chitarrista, cantante e intrattenitore. E' autore del libro ''Lo sciamano (Edilet, 2019).  “SOS” è  il suo primo singolo e ''Alpha'' il suo primo album. Scrive di arte e letteratura.